Si sono messi tutti in cerchio intorno alla panchina dove Kofi è morto in solitudine, lo hanno ricordato, come si fa con un caro amico scomparso, e hanno pregato per lui, ponendo un mazzo di calicantus, tipico fiore invernale, sui resti bruciacchiati dell’ultima «dimora» dell’immigrato africano.
Così ieri volontari e ospiti della Casa d’accoglienza di Marcellise hanno reso omaggio alla memoria di Kofi Boateng, il ghanese di 39 anni trovato morto ai giardinetti di Porta Vescovo.
A guidare il piccolo drappello di volontari, don Paolo Pasetto, ex parroco di Marcellise e oggi responsabile della Casa d’accoglienza di Fittà. «Non lo conoscevo, ma sapevo di lui tramite una nostra collaboratrice che è in contatto con i volontari della Ronda della Carità», racconta don Paolo.
«So che era una persona tranquilla, dimessa, che non chiedeva mai niente. Accettava volentieri quello che la Ronda gli portava, ma non aveva mai voluto andare in un dormitorio. Qualcuno aveva cercato di convincerlo ma senza esito. Tuttavia questo non diminuisce la gravità di ciò che è successo. È una responsabilità nostra quella di occuparci di persone come lui. Come società dobbiamo avere più attenzione nei confronti di chi, come Kofi, ha una vita piena di ostacoli».
Leggi ancheKofi morto a 39 anni su una panchina Ecco chi era