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Niente bar, i pensionati coltivano l’orto

Il gruppo di coltivatori sul terreno dell’istituto agrario
Il gruppo di coltivatori sul terreno dell’istituto agrario
Il gruppo di coltivatori sul terreno dell’istituto agrario
Il gruppo di coltivatori sul terreno dell’istituto agrario

Anche coltivare l’orto può costituire una forma di impegno sociale. Accade a Buttapietra, dove per il decimo anno consecutivo un gruppo di cittadini sta facendo crescere frutta e verdura in un’area agricola che hanno a disposizione gratuitamente. Loro stanno dando corpo ad un’iniziativa che era nata come una scommessa e che, invece, sta dimostrando di essere un modo innovativo per favorire la socializzazione e la cooperazione attorno a un’iniziativa molto interessante. «Questo progetto è nato dalla collaborazione fra la Pro Loco e l’istituto agrario Stefani-Bentegodi», racconta Rita Capuzzo, che degli orti sociali è stata la promotrice e che ancora adesso fa da coordinatrice dell’attività. L’istituto agrario ha messo a disposizione un’area di circa 500 metri quadrati posta all’interno della propria azienda agricola, fornendo anche l’acqua e gli strumenti da lavoro, mentre la Pro Loco gestisce l’attività. «Sono stati creati 24 orti che vengono seguiti da persone del paese», continua Capuzzo, la quale poi, spiega, che c’è un nucleo di affezionati che vanga e semina in quegli appezzamenti sin dalla nascita degli orti, ma aggiunge anche che ad esso si aggiungono di anno in anno altri appassionati. Tutti, comunque, possono usufruire dell’uso gratuito di terra, acqua e badili e, grazie al loro lavoro, produrre per loro stessi e per le loro famiglie insalate, pomodori, carote e quant’altro vogliono. A loro carico, oltre alla fatica, ci sono solo le spese di acquisto di sementi e piantine. «Il nostro obiettivo era quello di far sì che i pensionati avessero cose più interessanti da fare che stare al bar, e devo dire che la cosa è funzionata», continua la promotrice dell’iniziativa. «Certo, non tutti gli anni gli orti sono stati completamente utilizzati, però sono parecchie le persone, fra di esse attualmente c’è anche una donna di origine straniera, che si producono la verdura». «Questo ha significato non solo dare un impegno a persone che altrimenti potrebbero trovarsi con le mani in mano, ma, anche, creare delle occasioni di socializzazione, visto che oltre a zappare od irrigare chi viene qui ha anche l’occasione per scambiare qualche chiacchiera con i suoi colleghi ortolani», conclude Capuzzo. • © RIPRODUZIONE RISERVATA

Luca Fiorin

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