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Medaglia d’onore a Mazzi militare internato in Germania

Il gruppo di lavoro in Germania: Mazzi è nella fila in alto,  5° a sinistra
Il gruppo di lavoro in Germania: Mazzi è nella fila in alto, 5° a sinistra
Il gruppo di lavoro in Germania: Mazzi è nella fila in alto,  5° a sinistra
Il gruppo di lavoro in Germania: Mazzi è nella fila in alto, 5° a sinistra

Alla Gran Guardia alla cerimonia del Giorno della memoria, tra i sei ex internati militari premiati dal prefetto Donato Cafagna con medaglie d’onore del presidente della Repubblica c’era anche Giuseppe Mazzi: a ricevere l’onorificenza i figli Imelda e Antonio. I Mazzi sono una famiglia storica della frazione di Azzano dove Giuseppe è nato il 5 ottobre 1914. Arruolato nella seconda guerra mondiale, il 12 settembre 1943, pochi giorni dopo il tragico 8 settembre, con tutto il suo reggimento venne trasportato in Germania, a Wittennau, accanto a Berlino, e impiegato nei campi di lavoro. Ricordano i figli: «Dopo l’8 settembre sono stati catturati e finiti in Germania 850 mila soldati italiani per lavorare nelle fabbriche tedesche; mio padre e il suo reggimento sono stati destinati a una fonderia, con lavoro solo notturno per non segnalare agli aerei avversari, coi fumi delle ciminiere, la loro posizione ed evitare il bombardamento. Di giorno nelle vicine campagne di patate cercavano i resti dimenticati, comprese le bucce lasciate dai contadini per fare un po’ di minestrone. La fame era tanta e pochi i pacchi che si potevamo ricevere mandati tramite i vescovi di Verona e Berlino. Mio padre», sottolinea Antonio, «non parlava mai di questa storia. I ricordi che ci ha lasciato sono pochi, come quelli di mamma, Luigia Rosa, nata nel ’21 e ancora viva, con cui si sposò nel ’48. Quando mio padre è mancato nel 1976 per enfisema polmonare, come molti suoi commilitoni, abbiamo saputo qualcosa di più da lei. Nei primi anni che erano sposati», racconta, «sovente di notte veniva svegliata dagli incubi di mio padre che urlava: “Attenzione, bombardamenti!”. Andavano spesso a trovare un commilitone nella zona di Affi e a ogni incontro gli abbracci si mescolavano alle lacrime. Il suo silenzio era accompagnato anche dal silenzio ufficiale delle istituzioni», continua. «Credo gli pesasse molto. Quando dopo una trentina d’anni si iniziò a parlare dei soldati internati in Germania anche alla televisione, non voleva sentire, si alzava e se ne andava. Aveva però un grande rispetto per i caduti, per le cerimonie che li ricordavano e partecipava ai viaggi sui luoghi della guerra. Quanti soldati giovani ha visto morire anche in fabbrica stroncati dalla fatica e dagli stenti, e quanti, tornati, sono morti presto come lui per le conseguenze di quel lavoro. È sempre stato attaccato alla vita: al suo lavoro di agricoltore, alla sua famiglia, ai giovani del paese. È questa voglia di vita che nel ’46 l’ha portato a far nascere, con Cesarino Stanzial e altri amici la società Ciclistica azzanese, ancora adesso attiva». •

G.G.

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