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Il grido d'allarme

Venti operatori contagiati al Fracastoro «Non siamo eroi, ci sentiamo delle vittime»

Il grido d'allarme
Operatori sanitari entrano al pronto soccorso di San Bonifacio   DIENNEFOTO
Operatori sanitari entrano al pronto soccorso di San Bonifacio DIENNEFOTO
Operatori sanitari entrano al pronto soccorso di San Bonifacio   DIENNEFOTO
Operatori sanitari entrano al pronto soccorso di San Bonifacio DIENNEFOTO

«Eroi? No, vittime! Abbiamo già 20 operatori positivi».

È la denuncia che sale da chi, impegnato in prima linea alla lotta contro il Covid19 all’ospedale Fracastoro di San Bonifacio, affida alla rappresentanza sindacale unitaria la sua rabbia e il suo dispiacere. Ci sono entrambe le emozioni nelle parole di Fabrizio Lovato, dirigente della Cgil-Funzione pubblica che è coordinatore e portavoce della Rsu del Fracastoro, come dire degli operatori sanitari impegnati in prima linea dentro e fuori l’Area Covid. Un’area che, e parte da qui Lovato, «al 18 marzo sulla carta non esisteva, visto che il Fracastoro veniva indicato come ospedale Covid-free sebbene continuassero i ricoveri di persone positive».

 

Prima il Pronto soccorso, poi l’estensione nella Week surgery, «poi l’accoglienza di pazienti positivi, o che tali si sono successivamente rivelati, in geriatria e lungodegenza, forse anche per la mancanza di un adeguato filtro in entrata. Facile intuire le possibili conseguenze su pazienti ed operatori anche in virtù di dispositivi di protezione individuale carenti e non sempre adeguati, come la formazione del personale».

È l’elenco dei positivi a dar forza alla sua denuncia: «Tredici operatori al Pronto soccorso, tre in lungodegenza e poi uno in ostetricia, uno al Serd, uno in chirurgia e un fisioterapista. Fino al 15 marzo, in alcuni casi anche fino al 23, i Dpi non c’erano proprio e si è affrontata la situazione minimizzando il problema e definendo come non raccomandato l’uso generalizzato delle mascherine chirurgiche. E che dire dei Pronto soccorso dove si usavano solo mascherine chirurgiche senza tenere conto dei positivi asintomatici? Altro punto critico», prosegue Lovato, «i servizi con accesso diretto da parte degli utenti: per decine di giorni, prima che venissero tardivamente sospesi, in alcuni non è stato possibile mantenere la distanza di sicurezza e gli operatori hanno lavorato senza alcuna protezione», tuona Lovato. Poi ricorda di aver formalizzato diffide nei confronti della Scaligera sulla mancanza dei Dpi e aggiunge come «ad oggi non risulta ancora operativo un accesso “pulito” al Pronto soccorso per i pazienti in codice bianco non Covid».

Il «non risulta» lo spiega con un altro problema, cioè la mancanza di comunicazione. Par di capire che spesso ci si limiti a prendere atto delle cose, come la separazione della terapia intensiva, con l’area specifica destinata a pazienti Covid gravi e le sale operatorie trasformate in otto posti letto di terapia intensiva non Covid. Quei venti positivi pesano. «Sono la punta dell’iceberg se si pensa che al 2 aprile erano stati sottoposti a screening solo 1.640 dipendenti dell’Ulss 9 Scaligera, cioè un terzo del totale, con 148 casi di positività accertati, che rappresentano il 9 per cento. Siamo solo all’inizio, non si conoscono criteri e precedenze individuati per procedere ai tamponi e poi c’è il problema dei tempi di risposta: si sa se si è positivi anche dopo 5-8 giorni dall’effettuazione del tampone, giorni in cui alcuni operatori, poi risultati positivi, hanno continuato a lavorare esponendo a rischio colleghi, utenti e familiari. Serve velocità, al massimo 24 ore se c’è il sospetto», tuona. Loro, quelli della prima linea, continuano nonostante tutto a lavorare senza tregua, «a tutti va un ringraziamento. Grazie anche alla dirigenza», conclude, «ma solo per l’impegno e la disponibilità ad ascoltare: su organizzazione e gestione dell’emergenza la critica è molto severa». • © RIPRODUZIONE RISERVATA

Paola Dalli Cani

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