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Pazienti in dialisi e paura del Covid

Postazioni per sottoporsi alla dialisi
Postazioni per sottoporsi alla dialisi
Postazioni per sottoporsi alla dialisi
Postazioni per sottoporsi alla dialisi

I pazienti del servizio dialisi di San Bonifacio chiedono più controlli. L’epidemia da Coronavirus fa più paura a loro che a tanti altri. Se venissero contagiati, a causa delle loro basse difese immunitarie, dovrebbero affrontare situazioni più pericolose di quanto avviene mediamente per le altre persone. Questa situazione fa sì che vivano con apprensione i trattamenti a cui si devono sottoporre tre volte alla settimana. Soprattutto quando, come è accaduto in due occasioni negli ultimi tempi, scoprono che qualche loro abituale compagno di terapia risulta essere stato infettato o avere la febbre. Emanuela Pavan, sessantenne di Santo Stefano di Zimella, che ogni martedì, giovedì e sabato passa quattro ore attaccata ai macchinari del servizio dialisi del «Fracastoro», perché affetta da una grave insufficienza renale, racconta una storia fatta di preoccupazione e rabbia. Preoccupazione per quello che potrebbe succedere. Rabbia perché non viene data risposta alle sue richieste. «La prima situazione pericolosa in cui mi sono ritrovata è avvenuta il 25 aprile», dice, «una delle persone con cui effettuavo la terapia, quel giorno è stata improvvisamente spostata in un’altra stanza; si trattava di una ospite della casa di riposo di San Bonifacio, risultata positiva». Pavan aveva allora sollevato le sue perplessità e i timori per se stessa e gli altri 10 pazienti del suo turno di dialisi: tutti loro erano infatti rimasti per ore, e ogni due giorni, con l’anziana infetta. La donna di Santo Stefano era arrivata anche a ipotizzare che i risultati dei tamponi fossero stati comunicati in ritardo al personale del servizio. Cosa che Maria Mastella, la presidente della fondazione Oasi, che gestisce la struttura per anziani sambonifacese, aveva definito improbabile. «Sabato scorso ci siamo trovati a vivere un’altra situazione inquietante», racconta la signora che alla dialisi, tra l’altro, ci va col figlio di 35 anni, purelui bisognoso di dialisi e che ha subito anche un trapianto di rene. «Uno dei nostri compagni di terapia aveva la febbre e per questo ha dovuto sottoporsi a controlli specifici», spiega la zimellese, che ora vorrebbe essere sicura di non aver contratto il virus. «Quando entriamo nei locali del servizio, ci viene misurata la temperatura», riferisce. «Finora era andato tutto bene, ma questa volta si è verificato quello che temevamo e chiaramente questa situazione ha da subito creato in noi uno stato d’ansia, anche se nella sala in cui facciamo la dialisi siamo distanziati e tutti indossiamo le mascherine», continua la donna. Pavan ha chiesto di poter fare un tampone di controllo, anche a pagamento, senza ottenere risposta positiva. «I medici del reparto, che comunque sono bravissimi, così come lo sono gli infermieri, e gestiscono il servizio in maniera encomiabile, mi hanno detto che non potevano, invitandomi a rivolgermi al mio medico di famiglia», aggiunge la signora Emanuela. La donna sottolinea che sta ancora attendendo una risposta. «Io, come gli altri, avevo fatto un tampone due settimane fa, risultando negativa, ma poi non c’è stato più alcun controllo. Visto che siamo immunodepressi, sarebbe il caso di fare controlli a ogni seduta, cosa che peraltro, a quanto mi risulta, l’Ulss esegue a Legnago», rimarca. Pavan spiega che questa mattina, quando si recherà a fare la prima seduta della settimana, vorrebbe essere informata se la persona che sabato aveva la febbre sia risultata positiva al Coronavirus. «Spero ovviamente che stia bene, ma questo non significa che non ci debbano essere protocolli che prevedano verifiche continue», conclude. Su questo per il momento non è possibile riportare la posizione dell’Ulss. Ieri, infatti, l’azienda non ha risposto alle richieste di informazione. •

Luca Fiorin

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