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Infettata da epatite C ma mai risarcita

Carla Tessari,  72 anni: si è dovuta sottoporre a cure pesantissime, «tanto che ho avuto la tentazione di abbandonarle e lasciarmi morire»
Carla Tessari, 72 anni: si è dovuta sottoporre a cure pesantissime, «tanto che ho avuto la tentazione di abbandonarle e lasciarmi morire»
Carla Tessari,  72 anni: si è dovuta sottoporre a cure pesantissime, «tanto che ho avuto la tentazione di abbandonarle e lasciarmi morire»
Carla Tessari, 72 anni: si è dovuta sottoporre a cure pesantissime, «tanto che ho avuto la tentazione di abbandonarle e lasciarmi morire»

Il tribunale di Verona aveva condannato il ministero della Salute a risarcirla dopo una trasfusione infetta, ma a distanza di quasi quattro anni, e dopo aver vinto anche al Tar, ancora nulla si muove: «Che Stato è quello che se ne frega delle leggi che esso stesso emana?». Succede a San Bonifacio dove abita Carla Tessari, pensionata settantaduenne che cinquant’anni fa, in occasione di alcune trasfusioni, venne infettata dal virus: fino al 2009 non aveva contezza di essere malata, «le analisi effettuate negli anni avevano solo evidenziato una semplice reattività all’Hcv», racconta la donna, «ma solo dieci anni fa le analisi hanno rivelato epatite cronica di tipo C». La donna viene curata per 11 mesi con una terapia che, alla sua età, garantisce solo il 50% di possibilità di guarigione: «Cure pesantissime che arrivano a farmi pensare alla possibilità di abbadonarle e lasciarmi morire», racconta. Proprio durante il suo percorso di cura alcuni medici le fanno presente che può richiedere gli indennizzi della legge 210 del 1992, quella a favore di persone danneggiate da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie o trasfusioni. «Io nemmeno ci pensavo, dopo una vita molto limitata, penalizzata da una stanchezza cronica che mi faceva a malapena lavorare, l’unica cosa che volevo era stare meglio», racconta la signora Tessari, «Quel suggerimento, però, l’ho accettato e così ho iniziato l’iter di acquisizione dei documenti per presentare istanza». Da gennaio 2010 è tutto un correre di qua e di là per mettere insieme documenti, compresa la conferma che una delle sacche con le quali era stata trasfusa era poi risultata infetta: la Commissione medica ospedaliera dell’Ulss 16 di Padova, a luglio 2011, esprime parere negativo ma non perché non viene riconosciuta la correlazione tra trasfusione ed epatite C, solo perché, scrivono i funzionari, «la domanda non è stata presentata nei termini». A quel punto la signora chiede aiuto all’avvocato Giuliano Capperucci e inizia il suo iter giudiziario: «Ricorriamo contro il giudizio della Commissione medica e viene ribadita la tardività della richiesta. A quel punto, e siamo nella primavera del 2012, presentiamo ricorso alla sezione lavoro del tribunale di Verona contro il ministero della Salute. Il 18 settembre 2015», racconta la signora Carla sventolando la sentenza, «il giudice Marco Cucchetto accoglie l’istanza e condanna il ministero alla corresponsione dell’indennizzo, alla rifusione delle spese di giudizio e pure a quelle sostenute per il Ctu». La cosa sembra fatta, l’avvocato le dice che ci vorrà qualche mese per chiudere definitivamente questa storia ma così non succede. Il suo legale le prova tutte arrivando a proporre due esecuzioni presso terzi, cioè azioni di pignoramento, verso i conti del ministero alla Banca d’Italia e su Poste italiane. Non approda a nulla, «e così, il 12 ottobre 2018, mi vedo costretta a ricorrere al Tribunale amministrativo del Veneto contro il ministero che non ottempera ad una sentenza ampiamente passata in giudicato». Il 13 febbraio scorso la terza sezione del Tar veneto si esprime ribadendo «l’obbligo per la pubblica amministrazione di dare piena e integrale esecuzione alla sentenza provvedendo al pagamento di tutte le somme indicate» (cioè 77.715,41 euro di indennizzo, 3200 euro di spese legali), aggiunge poi il pagamento delle spese di costituzione al Tar ma non solo perchè, visto l’antefatto, nomina anche un commissario ad acta (il capo dipartimento dell’amministrazione generale, del personale e dei servizi del ministero dell’Economia e delle finanze) chiamato a dare esecuzione alla sentenza qualora il ministero non provveda entro 60 giorni dalla comunicazione della sentenza. «Ebbene», conclude la signora Carla, «i due mesi sono ampiamente trascorsi senza che sia accaduto nulla. Ed è passato anche l’ulteriore mese assegnato al commissario per provvedere in caso di inadempimento: ancora nulla, salvo un annuncio di imminente conclusione, a cui onestamente fatico a credere». •

Paola Dalli Cani

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