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«Ho vissuto un calvario di 55 giorni»

L’ingresso dell’ospedale di Borgo RomaL’assessore Marzia Viali
L’ingresso dell’ospedale di Borgo RomaL’assessore Marzia Viali
L’ingresso dell’ospedale di Borgo RomaL’assessore Marzia Viali
L’ingresso dell’ospedale di Borgo RomaL’assessore Marzia Viali

Un pianto a dirotto dopo 55 giorni di positività al Covid-19. Quando, venerdì sera, Marzia Viali ha saputo che finalmente si era negativizzata, non è riuscita a trattenersi. Aspettava quella notizia dal 17 marzo, da quando cioè è stata sottoposta al primo dei tamponi di verifica al termine della quarantena conseguente al contagio. Viali, assessore all’istruzione del Comune di Monteforte d’Alpone, è stata la «paziente 1» del paese (dove oggi si contano 27 positivi e purtroppo anche un decesso). «Diciamo la paziente 1 della Val d’Alpone», precisa lei con un sorriso. Ingegnere della direzione medica dell’ospedale Giambattista Rossi di Borgo Roma, a Verona, Marzia Viali aveva scoperto di essere stata contagiata il primo marzo. «Un incubo», racconta, «perché sebbene non ci fossero state riunioni istituzionali pubbliche, il giorno prima ero seduta in Giunta e la sera con una decina di coscritti». «Mi spiace davvero per tutti i disagi e le preoccupazioni che la mia malattia ha comportato a tanti», dice riferendosi ai tanti isolamenti fiduciari che sono scattati dopo la verifica della sua positività, «un amico ha chiuso l’attività per due settimane e mi sento in colpa, anche se so che colpe non ne ho». Queste due cose se le ripete spesso anche a livello profondo perchè quel «colpa mia» se lo è sentito rimbombare dentro per le due settimane più brutte della sua vita. «Io non ho fatto un giorno di ospedale, ho avuto febbre per tre giorni al massimo, scomparsa di gusto e olfatto, un leggero raffreddore. Mio padre, invece», racconta, «è stato per 15 giorni tra la vita e la morte». Un papà conosciutissimo: Gianni Viali per una vita è stato il vigile di Roncà. È stato travolto dalla malattia, a 67 anni, prima ancora di scoprire di essere positivo. «Il vero miracolo è mio padre», racconta Marzia Viali finalment sollevata, «perché il suo quadro non lasciava speranze. Tutta la mia famiglia è stata in isolamento, in isolamento buona parte dei parenti e lui, da solo, ha dovuto affrontare tutto senza nemmeno il nostro ciao prima di essere intubato. Ci si sono messe tutte, compreso il telefono che resta in pronto soccorso e quando è ora di usarlo è scarico, senza caricabatterie». Quindici giorni così, in attesa d una telefonata, «e già in movimento per trovare chi potesse sostenere sopratutto mia madre a livello psicologico. Ero proiettata al peggio». E invece no: mentre l’assessore Viali fra mille difficoltà crea l’isolamento nei 70 metri quadrati dell’appartamento in cui vive con il marito Andrea e la piccola Zoe, che a soli tre anni sembra farsene una ragione dell’incomprensibile impossibilità di baciare e abbracciare la mamma, in ospedale ognuno dà il massimo. «Quella sera, quando il telefono suona alle 23.30, già penso a cosa mi diranno: mi preparo. E invece no», quasi grida Marzia, «mi volevano dire che papà era in netto miglioramento». Ci ha messo meno tempo il signor Viali a farsi dimettere dalla terapia intensiva e poi da un reparto ordinario e a tornare a casa, che non la figlia a uscire dall’incubo. «Dodici tamponi in tutto, un negativo seguito da un positivo, poi un negativo e un indeterminato, un indeterminato seguito da un positivo: è stato uno stillicidio che mi ha sfinita», dice. Un decorso così lungo, per quanto è dato sapere, in Italia ha riguardato solo un’altra donna, la modella bolognese Bianca Dobroiu rimasta positiva per 57 giorni. «Sono rimasta in contatto dei medici», spalanca le braccia Marzia Viali, «ma questa malattia ancora non la conosciamo: mi sono sentita ripetere di avere pazienza e di cercare di stare tranquilla». Da oggi Marzia Viali tornerà al lavoro, alla vita normale. «Ho tanti grazie da dire, al medico di famiglia Claudio Betteli, ai miei familiari, agli amici. Torno alla vita cambiata», aggiunge l’assessore, «perché ho imparato quanto è importante la rete e la coesione familiare, ho scoperto cosa è davvero importante. Ho scoperto che “ti voglio bene” va detto ogni volta che lo si pensa perché domani potrebbe non esserci più tempo». Solo una cosa la amareggia: «Quando è successo dovevo pensare a me e chi mi voleva bene mi ha protetto: ho solo un perché pieno di amarezza da esprimere, perché lanciare sui social e sulle chat la mia foto sotto la scritta Coronavirus? Una foto segnaletica di una persona che ha avuto la “colpa” di ammalarsi». • © RIPRODUZIONE RISERVATA

Paola Dalli Cani

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