In piena emergenza sanitaria, e agli albori dell’emergenza economica e sociale, è stata licenziata: si tratta di una dei 300 docenti italiani lasciati a casa dallo Stato. Docente di ruolo di inglese al polo liceale «Guarino Veronese» di San Bonifacio, Francesca Boraso, 44 anni, poco dopo aver lasciato i suoi studenti dopo le sue lezioni in didattica a distanza, nella posta elettronica ha trovato la comunicazione di un licenziamento in tronco. Era il 5 marzo. Questa doccia fredda sarebbe colpa della giustizia amministrativa che prima dice una cosa, poi l’esatto contrario e che dopo un estenuante tira e molla giudiziario, in un momento così drammatico, ha sfornato 300 potenziali disoccupati. «Sono uno dei quattro docenti veneti, e l’unica veronese, immessi in ruolo a tempo indeterminato con clausola di recesso dopo aver partecipato, senza abilitazione ma con le competenze che erano richieste, al concorso docenti 2016 superando tutte le prove. A distanza di quattro anni», spiega Boraso, «e in un momento epocale come quello dell'emergenza Covid-19, l’iter giudiziario innescato da un appello del ministero, il ricorso al Consiglio di Stato di noi docenti, una sentenza avversa di quest’ultimo, è arrivato il licenziamento. Grazie a Dio, e alla mia scuola, due giorni dopo il “Guarino Veronese” mi ha “ripescata” dalla graduatoria di istituto e riassunta come precaria, fino al 6 giugno ed i miei studenti non si sono accorti di nulla. Io, però, a 44 anni mi sento appesa ad un filo». Quattro anni fa, dopo che una maternità l’aveva costretta a rinunciare al precedente impiego, Boraso si era gettata a capofitto nello studio, «perchè si sapeva che saremmo stati radiografati dal punto di vista delle competenze. Si sapeva prima, si sapeva anche dopo: un anno di prova sotto stretto controllo di una commissione e di studio. Ci sono state spese, e ancora purtroppo ce ne sono per far valere i nostri diritti, ma qui l’impressione è che il merito e la competenza non valgano». Con la sua assunzione, non tolse nulla a nessuno: «Ultima in graduatoria, ultima in Veneto, ultima a Verona ad essere stata assunta per una cattedra sguarnita: erano addirittura due le sedi disponibili», spiega la docente. Referente del Progetto Erasmus di istituto, l’insegnante aveva fatto partire per quest’anno sette scambi con l’estero, per i suoi studenti, e quando l’emergenza ha bloccato tutto ha raddoppiato gli sforzi per «ricollocare» i periodi di studio e progettare quelli del prossimo anno. «Tanto lavoro, tanti sacrifici, un percorso lungo e tortuoso ed ora l’incertezza totale, condizionati anche dai tempi della giustizia rallentati dal virus: la Cassazione dovrebbe pronunciarsi entro fine mese», spiega Boraso, «se va male rimarrò in terza fascia (quella dei precari, ndr) e non so se mi chiameranno e non so nemmeno se potrò rifare ancora il concorso il cui bando è già uscito per dimostrare competenze già accertate. Non ho mai avuto paura di reinventarmi», dice, «ma nella crisi generalizzata del post Covid-19 la vedo molto dura. Sono davvero amareggiata perché sento il ministro dell’Istruzione lamentarsi che non ci sono docenti: a Verona ci sono e ci saranno posti vacanti per la mia materia e questo anche perché questa vicenda dimostra che ci sono 300 persone ritenute indegne di lavorare al di là di merito, competenza e preparazione». •