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Davide, il guerriero che dona la vita

Davide, con un sorriso radioso
Davide, con un sorriso radioso
Davide, con un sorriso radioso
Davide, con un sorriso radioso

Hanno vissuto la tragedia di vedere il loro guerriero spegnersi, ma anche la forte emozione di vedere da quella fiammella che si consumava sprigionarsi la forza che può accenderne altre. Un turbinio di emozioni, che adesso i genitori di Davide vogliono raccontare. Come testimonianza della potenza del dono. «Avevamo provato la gioia che accompagna la notizia che c’è un organo che può salvarti la vita e quando per Davide non c’è stato più nulla da fare, ci siamo ritrovati a fare il tifo per chi poteva ricevere i suoi organi. Abbiamo sperato, perdendo il sonno, che quella notte dall’ospedale di Borgo Trento partissero tante chiamate, che la generosità di Davide potesse fermare per sempre le lacrime di altri genitori: oggi Davide vive nelle quattro persone che, da eroe, ha salvato». Mamma Ombretta parla tutto d’un fiato, papà Sandro fa sì con la testa e si strofina gli occhi: le dita sullo schermo del cellulare, a scorrere tra le foto che raccontano di Davide Peruzzi, un guerriero di 16 anni «nato per donare». Mamma Ombretta, nella casa di San Bonifacio dove un canestro parla di Davide e di suo fratello Nicola, lo descrive così: un bimbo nato fortemente prematuro e con un peso importante da portarsi sulle spalle, finito più volte in sala operatoria, senza mai arrendersi nonostante un ritardo motorio e la scoliosi. «Non lo abbiamo mai trattato da disabile, togliergli un ostacolo sarebbe stato peggio: Davide ci si parava davanti, lo affrontava e, soprattutto, era sempre disponibile per aiutare chiunque fosse stato in difficoltà». «È sempre stato un guerriero», continua mamma Ombretta, «il suo futuro era nei campi, in azienda con Sandro, e per questo studiava all’istituto agrario di Caldiero. Lo scorso anno era stato anche Pagella d’oro». Era così Davide, quando c’era un ostacolo trovava la soluzione: problemi a guidare il trattore a causa di una mano capricciosa? Si era inventato il modo per ovviare. Difficile giocare a pallacanestro? E lui era diventato cestista del Baskin (il basket inclusivo). Sono state complicanze insorte dopo un intervento che l’ha portato in sala operatoria due volte in otto ore a condurlo in un sonno da cui non si è più risvegliato, fino al 17 ottobre: «Sono stati 12 giorni di calvario e poi quella domanda sulla donazione: subito ho detto di no, mi sembrava di straziarlo ancora», riprende Orietta, «poi ho pensato che potevo far vivere Davide ancora, che potevo portare avanti il suo nome. Dire no voleva dire fermare Davide e mi sono ritrovata a fare il tifo per chi grazie a lui poteva vivere, a sperare che potesse aiutare il più possibile». In quei minuti papà Sandro lascia libera la moglie di scegliere: «Ombretta sa come la penso, vivo grazie a un trapianto e sarei stato di parte in quel momento», spiega. Quella notte i genitori salutano Davide l’ultima volta, «era un bambolotto», dice la mamma, e poi vanno a casa. «Non sono riuscita a dormire, mi sembrava di vivere l’emozione di chi riceve la telefonata che ti salva la vita, ero in ansia. Sono sempre stata fiera di Davide, lo sono stata al funerale dove è stato abbracciato da tutti i suoi compagni di scuola e chiamato da tutti guerriero, e lo sono oggi che so che quattro persone vivono grazie al suo cuore, il suo fegato, i suoi reni. Se avessi detto no la corsa di Davide si sarebbe fermata». Ostinato, determinato, ottimista: «Davide ha affrontato tutto con forza, simpatia solare: ci ha insegnato che la vita è un bene prezioso e ora è un eroe che ha salvato altre vite», dicono mamma e papà citando ciò che hanno scritto sul ricordino distribuito il giorno dei funerali. Si asciuga le lacrime Ombretta: «Chissà dov’è il cuore di Davide: vorrei appoggiarmi al torace di chi lo ha ricevuto per sentirlo battere ancora». •

Paola Dalli Cani

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