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LA TESTIMONIANZA

«Papà è morto
in solitudine
Dolore immane»

Reparto di terapia intensiva
Reparto di terapia intensiva
Reparto di terapia intensiva
Reparto di terapia intensiva

«È un dolore più grande di quello che si possa spiegare. Ci si aspetta, prima o poi, di perdere un genitore, è nella natura delle cose, vorresti non succedesse mai perchè rimani eternamente “figlia” anche da adulta, ma così, come è successo a me e ai tanti che per il Coronavirus hanno ricevuto quella maledetta telefonata dall’ospedale, così è una voragine senza fondo, è disumano». E continua: «Il peggio non è mai come lo immagini, il peggio è morire senza nessuno accanto a tenerti la mano: è impietoso, è ingiusto, sia per chi va, sia per chi resta». Poi si commuove: «Aveva la febbre alta da due giorni, l’ho accompagnato in ospedale, lui in ambulanza e io dietro sulla mia macchina, mi ha salutata con il sorriso dicendomi “qui sono in ottime mani, mi raccomando la mamma…”. Non l’ho più rivisto».

 

A trovare la forza di parlare della morte del padre è Alessia (nome di fantasia), quarantenne, «veronese Covid-orfana» – così si definisce. «Lui aveva da poco superato i 70, giovane no? Stava bene, era solo cardiopatico, aveva subìto anni fa un intervento per mettere due bypass, prendeva le sue medicine, ma per il resto era sano, integro, bello. Era in pensione, dopo una lunga carriera manageriale in una azienda fuori Verona si era dedicato alla famiglia, ai nipotini, un super-nonno oltre che un papà meraviglioso, sempre disponibile, attento ai bisogni di tutti. I suoi hobby? Lunghe passeggiate con mamma e con gli amici, anche dopo i disturbi al cuore ha continuato a muoversi, io gli ricordavo di non esagerare e mi rispondeva “due passi possono solo farmi bene, me li consiglia anche il medico, stai tranquilla”».

 

Alessia continua: «Era un grande lettore, divoratore di libri, diceva che leggere era la cosa più bella che la pensione gli avesse regalato. Si era portato in ospedale l’ultimo di Cottarelli, ce l’ho io adesso, “I sette peccati capitali dell’economia italiana”, c’è la pagina piegata a metà dove era arrivato, e qualche sottolineatura qua e là in matita. Non è il mio genere ma voglio finire ciò che ha iniziato, terminare questo libro mi farà sentire meglio».

 

Alessia torna sempre lì: «Morti così tolgono dignità, aggiungendo dolore al dolore, tutto è rimasto sospeso, ecco questa è la descrizione giusta: vivi come in un limbo, in una dimensione incompiuta, che non potrà mai essere definita. Un cerchio aperto che non si chiuderà più. E’ da settimane che ho fissa nella mente l’immagine di papà sul letto del reparto via via peggiorare, la difficoltà ogni giorno di dire due parole al telefono quando lo chiamavamo, ad un certo punto l’unico collegamento con lui sono state le infermiere che ci dicevano “sta meglio, sta peggio, non satura, lo abbiamo messo sotto al casco,” e tu dall’altra parte rimani inebetito, non capisci, fino a quando realizzi che la situazione s’è aggravata e chiedi “ma sta morendo?” e loro, questi angeli benedetti, con il cuore grande, cercano di tranquillizzarti: “Se vuole fargli arrivare i disegni dei bambini, una lettera, qualcosa, poi noi leggiamo…”. E lì capisci che sei alla fine, che il momento è arrivato e tu non puoi esserci, non puoi abbracciarlo, stringerlo forte, dirgli il bene che gli vuoi, ringraziarlo per tutto, promettergli che “sì, alla mamma penso io, stai sereno, papà speciale”».

 

Alessia ha il respiro rotto, «capite che situazione irreale viviamo noi che perdiamo così le persone più care che abbiamo al mondo? Papà è entrato in ospedale salutandomi con un “ci vediamo presto” ed invece non è più tornato. Non so neanche se l’hanno vestito o è rimasto in pigiama, lui che è sempre stato molto attento all’aspetto, a tenersi curato. Sono riuscita a recuperare la sua borsa, aveva dentro le foto dei miei bambini, mi hanno detto che all’inizio le mostrava orgoglioso ai dottori, poi faceva fatica a tenerle tra le mani e allora ha chiesto che gliele mettessero sotto al cuscino così “ce li ho sempre vicini alla testa e al cuore”».

 

«Questo virus è forte, semina morte velocemente», riflette Alessia, «spazza via ogni certezza, anche il funerale: papà è stato cremato, nemmeno sappiamo se fosse d’accordo... Non posso confortare mamma, gli zii, nessuno, siamo tutti ancora in quarantena domiciliare perché potenziali contagiati. Stiamo bene, i sintomi del Covid-19 non ci sono, ma il rischio che papà possa averci trasmesso il virus è reale. Ho dentro un dolore fortissimo, misto a rabbia, un senso di impotenza che non mi dà pace». Alessia ha un appello per la «ragazza, almeno la voce era di una giovane, che nelle ultime ore gli ha tenuto la mano. Non ho capito se fosse una infermiera o una operatrice, comunque una dipendente del Policlinico di Borgo Roma. Mi hanno riferito che gli ha fatto il segno della croce e gli ha messo sul petto la foto dei bimbi, quella che era sotto al cuscino. Grazie per essere stata la figlia che avrebbe voluto accanto». • © RIPRODUZIONE RISERVATA

Camilla Ferro

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