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Stasera ultima data all'anfiteatro

Mengoni, tra pioggia
e ritardi ma lo show
fa scatenare l'Arena

Stasera ultima data all'anfiteatro
Marco Mengoni in Arena (Brenzoni)
Marco Mengoni in Arena (Brenzoni)
Mengoni, seconda serata (Pasetto)

Mezz’ora di ritardo sull’inizio del concerto di Marco Mengoni e spettatori fradici sotto la pioggia a catinelle. Ce n’è abbastanza per scaldare gli animi dei 12.500 arrivati ieri da ogni parte d’Italia per la seconda delle tre serate di “Atlantico Tour” in Arena (stasera alle 21 terza e ultima data, sold out). E infatti qualche fischio si fa sentire, prima dell’inizio, tra gli impazienti, in attesa da ore sotto il diluvio. Ma il “Guerriero”, anziché sul palco, appare in mezzo alla platea protetto solo da un cappuccio: “Volevo stare insieme a voi, anch’io sotto la pioggia”, dice. “Perché siamo tutti Muhammad Ali”.

 

L’empatia, con Marco Mengoni comincia dall’inizio e dura per tutti i 27 brani in scaletta. Ed è la forza di questa popstar, che con lo strumento che Madre Natura gli ha donato, plasmato da umiltà e duro lavoro e valorizzato da una band all’altezza, può permettersi virtuosismi e interpretazioni da pelle d’oca o osare mash-up dei suoi storici successi con quelli di Adele (“Come si vola” che diventa “Someone like you” o “Credimi Ancora” che termina come “Gangsta’s Paradise”, di Coolio).

 

Ma il cantante di Viterbo mantiene costantemente col pubblico una vicinanza da “ragazzo della porta accanto”: lo prende bonariamente in giro, quando intonando al piano “L’essenziale” valuta l’intonazione dell’anfiteatro che lo segue all’unisono: “Mmmmhhh... un quarto di tono crescenti”, scherza. Lo fa riflettere, con due monologhi su ciò che siamo e sull’impatto negativo dei social network. Addirittura gli fa il verso, per l’occasione in dialetto veneto: “Xe vero, xe vero”. Ed è questa intesa naturale, ancor più del decantato palco di ultima generazione (che, da solo, ipnotizza con luci stroboscopiche, laser e riuscitissimi effetti digitali) a colpire. Intanto vanno in scena, nell’ordine, l’emozione a mille (che su “La ragione del mondo diventa incontenibile, anche per lui, che si scioglie in lacrime) e il grande cuore di Marco (che esce tutto nelle atmosfere latine e colorate che ispirano la seconda parte e sono nel dna di “Atlantico”), mentre gli ultimi brani sono un tripudio di energia, con tutto l’anfiteatro in piedi a ballare e Mengoni a correre e saltare con le braccia al cielo, finalmente “Libero, libero, libero”, con le sue “Parole in circolo”. E dopo i bis, la “consacrazione” finale con “Hola” e un’infinità di ringraziamenti, l’impressione è che due ore a tu per tu con il suo pubblico, dopo dieci anni di amore ricambiato, ancora non gli bastino. 

Elisa Pasetto

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