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Veronese ricoverato per 15 giorni

Il racconto di chi è guarito: «Grazie a tutti. Ora guardo fuori e sono felice»

Veronese ricoverato per 15 giorni
Le dimissioni di Giuseppe Pesenti (foto Marchiori)
Le dimissioni di Giuseppe Pesenti (foto Marchiori)
Malato di covid dimesso da Borgo Roma (Marchiori)

La voce è flebile, si interrompe più volte. «Scusi sa», dice al termine della nostra breve chiacchierata, «ma adesso non ce la faccio proprio più». Perché i polmoni sono molto provati e respirare e parlare insieme diventa un’impresa titanica anche per lui, carabiniere paracadutista in pensione, amante della mountain bike e delle passeggiate nei boschi, dal fisico asciutto e atletico. Il coronavirus ha scelto, infatti, un fisico super revisionato, per abbattersi con la sua furia.

Quello di Giuseppe Pesenti, 65 anni, che ieri mattina è tornato a casa, tra le sue colline, a Cazzano di Tramigna, dopo 15 giorni di ricovero ospedaliero. Un tunnel duro, attraverso la polmonite covid-19, nel reparto di Malattie infettive del policlinico di Borgo Roma. La paura, il groviglio di cannule, il soffitto sempre uguale, le forze che sembrano abbandonarti da un momento all’altro. Poi la risalita, pian piano, fino a ieri, quando con le sue poche cose in un sacchetto, una coperta piegata sotto braccio, le pantofole e i calzettoni tirati sopra i pantaloni del pigiama, ha lasciato finalmente l’ospedale per tornare a casa.

«Mi hanno accompagnato i ragazzi con l’ambulanza. Sono bravi anche loro». Ha solo parole di ringraziamento, Pesenti. Per i medici, per gli infermieri, per tutto il reparto e l’ospedale intero: «Tutto efficiente, tutti bravi, sono stato trattato benissimo». Nei giorni in cui se l’è vista brutta, Giuseppe ha affrontato tutto da solo: la moglie in quarantena, la figlia al lavoro proprio al reparto di rianimazione di Borgo Roma, un figlio all’estero.

 

I PRIMI SINTOMI «Ho iniziato a stare male a casa. E dirle come l’ho presa non ne ho idea: passo le giornate in montagna e tra i boschi, non ho mai frequentato gente. Ricordo solo che l’8 marzo sono stato in pizzeria e il 9 ho iniziato a star male». Tosse persistente, instancabile. Poi la febbre sempre più alta e qualche accesso di vomito. Infine, l’impossibilità di trovare il fiato. «Sono andato avanti per qualche giorno, ma poi ho iniziato a star male, molto molto male. Finché non sono arrivati i problemi respiratori e mia moglie ha chiamato l’ambulanza».

 

L’AMBULANZA Così è partito Pesenti. Direzione policlinico di Borgo Roma. «Ho visto gente stare davvero molto male. Io pure. Mi hanno salvato la decisione, 27 anni fa, di smettere di fumare, e la molta attività fisica che pratico. E ora che sono uscito, comunque i polmoni sono quello che sono». Riprende il fiato, Giuseppe, che in neppure un mese ha perso sei chili: «Ma cosa vuole, questo è il meno. Quello che conta è che sono qui», continua. Perché la paura è stata tanta.

 

LA PAURA «Il momento in cui ho temuto è stato alla sera del ricovero, quando ho visto la media dell’ossigeno nel sangue che era ai minimi. Poi via con l’ossigeno. Ma si sta davvero male». All’inizio Pesenti è stato in camera con persone di Portogruaro che erano stati in crociera a Dubai. Poi è rimasto solo, infine, con un anziano. «Ma entrambi stavamo troppo male per parlare. Anche con gli infermieri, che erano gli unici con cui si poteva fare una chiacchiera. Non potevo fare niente, non vedevo nessuno dei familiari, ero senza orologio». E via un respiro affannato.

«La notte poi», ritrova il fiato, Giuseppe, «è stata un incubo. Non riuscivo a dormire, a trovare la posa, tra cervicale, tubi e cannule ovunque. Pensavo di tutto e di più, temevo di non farcela, continuavo a dirmi “ecco, se i valori vanno bassi sei pronto per la rianimazione”». Ma alla terapia intensiva, Pesenti, per fortuna non è arrivato. «Se vedevi che spostavano qualcuno, sapevi già che andava all’intensiva. Ma ora sono qui e sono felice. E spero che quelli che entreranno dopo di me, ce la facciano».

 

LE COLLINE Ora si gode la sua casa. E anche ieri, pur col fiato corto, è riuscito a sistemarsi: «Non so quante lavatrici ho fatto e poi c’era il frigo da svuotare di tutti i cibi andati a male. Sono stanco morto, ma sa, sono a casa. Mia figlia mi ha fatto trovare delle cose pronte. Sono felice. Guardo fuori dalla finestra, vedo le colline e mi si gonfia il cuore». Finisce la voce, Pesenti, che ora deve stare in isolamento, più per non prendere qualche malanno dagli altri e in attesa del prossimo tampone che metta la parola fine a questa drammatica esperienza. «Ma una cosa voglio dirle», conclude. «Tanto di cappello ai medici e agli infermieri. Grazie a tutti».

Maria Vittoria Adami

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