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L'assassinio di don Giuseppe Rocco

Accusato di omicidio, chiesti 22 anni
di reclusione per monsignor Piccoli

L'assassinio di don Giuseppe Rocco
Monsignor Paolo Piccoli è accusato di omicidio aggravato
Monsignor Paolo Piccoli è accusato di omicidio aggravato
Monsignor Paolo Piccoli è accusato di omicidio aggravato
Monsignor Paolo Piccoli è accusato di omicidio aggravato

Ventidue anni di reclusione. È questa la richiesta del pubblico ministero nel processo per omicidio aggravato, in cui è accusato monsignor Paolo Piccoli, veronese, che all’epoca dei fatti era ospite della casa del clero di Trieste per una convalescenza. Si avvicina il giorno della sentenza, prevista per il 13 dicembre, santa Lucia.

 

«Sono pronto ad accettare qualsiasi decisione. Spero che santa Lucia porti luce», ha commentato monsignor Piccoli. Per venerdì sono previste le repliche del pubblico ministero e della difesa. Monsignor Piccoli, parroco veronese incardinato nell’aquilano, è accusato di aver ucciso don Giuseppe Rocco, un anziano prelato novantenne il 25 aprile 2014 nella casa del clero di Trieste dove entrambi risiedevano. A difendere il monsignore, gli avvocati Vincenzo Calderoni, de L’Aquila e Stefano Cesco del foro di Pordenone. Ad accusare monsignor Piccoli, Eleonora di Bitonto, la perpetua. Ma durante l’ultima udienza, l’avvocato Calderoni ha evidenziato le sette bugie su sette argomenti importanti che la perpetua avrebbe detto: la collanina di don Rocco (che la donna voleva essere stata rubata da don Piccoli e invece dopo l’omicidio come è emerso a processo le era stata vista al collo), i soldi che avrebbe restituito al prete (le aveva fatto un prestito ma aveva anche redatto un testamento a suo favore), la telefonata che avrebbe fatto la mattina del decesso a don Rocco e che invece non aveva mai fatto (risulta dai tabulati telefonici), la lettera anonima che aveva inviato a don Piccoli (una perizia calligrafica della difesa vuole che sia della perpetua la calligrafia su quella missiva che descrive l’omicidio con dettagli che all’epoca poteva conoscere soltanto chi ha commesso l’omicidio), la dichiarazione rilasciata e secondo la quale avrebbe visto delle gocce di sangue sul letto in una stanza buia (e la difesa ha evidenziato che se la stanza era buia lei non avrebbe potuto notare macchioline di sangue sul letto della vittima), l’aver negato di aver tentato di rianimare l’anziano prelato (mentre la registrazione del 118 riporta che la donna ci ha provato dando anche dei buffetti al volto di don Rocco).

 

Ma soprattutto la perizia del professor Franco Tagliaro che ha dimostrato che l’osso ioide, quello che abbiamo in gola e che l’accusa vorrebbe distrutto dall’assassino durante lo strangolamento, sarebbe stato rotto durante la sua asportazione per l’esame autoptico. Infatti, diversamente da quanto si sarebbe dovuto fare, prima della sua rimozione sarebbe stato necessario eseguire una Tac, che non è stata fatta. E quella postuma evidenzia che l’osso, quando è stato spezzato non era irrorato. Quindi è stato spezzato ad un cadavere. Tra i punti a favore della difesa anche la sparizione di un cuscino. Un oggetto che avrebbe potuto essere utilizzato per soffocare don Rocco, che a quel punto sarebbe morto per soffocamento e non per strangolamento. Infatti quest’ultimo gesto prevede una successiva emorragia. E nessuna emorragia è stata riscontrata sul cadavere di don Rocco. •

Alessandra Vaccari

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