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La battaglia di una madre veronese

«Non c’è speranza per la mia Nina. Voglio lasciarla volare via senza che soffra»

La battaglia di una madre veronese
Francesca con la sua Nina
Francesca con la sua Nina
Francesca con la sua Nina
Francesca con la sua Nina

«Nina non avere paura». «Nina non ti lascio». «Nina camminiamo insieme». «Nina questo è il nostro tempo». «Nina, non deve succedere più».

 

Nina ha 7 mesi e sta morendo all’ospedale Gaslini di Genova. Ce l’ha portata mamma Francesca a fine luglio, scappando da Verona, decidendo con coraggio che «la mia bimba non avrebbe sofferto più e che la sua vita, per quel poco che sarebbe durata, sarebbe stata dignitosa, senza dolore, senza cure invasive, senza accanimento terapeutico».

Francesca ha girato il mondo per salvare sua figlia «nata in aprile un po’ prima del termine della gravidanza, in un bellissimo giorno di primavera», racconta con il sorriso. Le si illuminano gli occhi pensando alla gioia di quel momento, durata troppo poco. «Ha avuto fretta di venire al mondo ed altrettanto in fretta s’è ammalata, abbiamo dovuto concentrare emozioni, sentimenti, parole, abbiamo dovuto correre contro il tempo per dirci quello che non potremo mai raccontarci, per fare scorta di abbracci, di amore, per donarci in un battito di ciglia tutto quello che avrebbe dovuto riempirci le vite, per fare io la mamma che ho sempre sognato di essere e lei la figlia che ho tanto voluto».

 

LA BATTAGLIA DI FRANCESCA

Francesca è stata ovunque in Europa in cerca di una speranza, sempre negata, prima di arrendersi alle parole dei medici: «Nina non diventerà grande, nessun intervento chirurgico, nessuna cura la potrà guarire... niente di quello che è stato tentato fin qui e nessuna operazione cambieranno la sua situazione. Non fatela, non serve. Soffrirebbe molto, per niente».

E così Francesca, disperata, si ferma, sceglie di lasciar andare la sua creatura dandole il miglior ultimo tempo della sua breve esistenza. «Ed eccoci qua, ricoverate da luglio all’hospice “Il guscio dei bambini“ del Gaslini», ha la voce rotta al telefono, «siamo a fine corsa, Nina da qualche giorno è in sedazione profonda, se ne sta andando, ma non soffre, la tengo stretta tutto il tempo, non voglio perdermi nemmeno un secondo di lei, della mia meravigliosa creatura che ho la grande colpa di non aver protetto da tutto il dolore provato in mesi di accanimenti medici».

 

«NON VOGLIO CHE SUCCEDA AD ALTRI»

Francesca non si dà pace e con coraggio racconta la sua tragedia «perchè non succeda ad altre mamme di non poter scegliere il “meglio“ per i loro figli arrivati a fine vita, che è morire con dignità e non sottoposti a cure inutili. Non sapevo dell’esistenza della legge 219 del 2017», ribadisce, «nessuno in ospedale a Verona mi aveva spiegato che potevo deporre le armi ed accompagnare Nina su una strada diversa da quella in cui ci aveva buttate l’infezione contratta poco dopo la nascita e che piano piano le ha portato via tutto, anche la coscienza, in uno stato vegetativo da cui non si torna più».

E lancia un appello: «Se avessi saputo, potevo da subito chiedere che i medici non si accanissero, invece è stata intubata, trasfusa, alimentata, in preda a convulsioni continue, attaccata a flebo e a tubi, tutte cose che, inconsapevole e disperata, ho lasciato accadessero, non “salvandola“ da quell’inutile dolore. Ed ero pronta anche a farla operare alla testa...appena ho saputo del “biotestamento“ ho negato il consenso, dicevano che era indispensabile per evitare che il cranio diventasse due volte più grande del corpo, ho risposto che non mi importava che la mia Nina fosse un mostro, era la mia bambina, il mio amore per lei sarebbe stato smisurato anche con l’idrocefalo, ed ho implorato di assisterla con umanità, solo con quella».

Quel «no» è stato il gesto d’amore più grande «che potessi fare», sospira Francesca, «e il rimorso più grande che avrò per tutta la vita è non averlo detto prima». Ieri Nina ha compiuto 7 mesi. «Festeggiamo tenendoci la mano», ha concluso Francesca, «siamo serene, nella grande tragedia che ci è capitata io qui ho potuto finalmente fare la mamma, la accarezzo, la abbraccio, continuo a sussurrarle all’orecchio di non avere paura a volare, perchè lei volerà. Questo è il nostro tempo, è l’ultimo pezzo di strada insieme». •

Camilla Ferro

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