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Dopo la chiusura di Borgo Trento, situazione difficile

Maternità piene
L'odissea di Isabella
per partorire

La piccola Anita Carla nata dopo aver girato tre ospedali
La piccola Anita Carla nata dopo aver girato tre ospedali
La piccola Anita Carla nata dopo aver girato tre ospedali
La piccola Anita Carla nata dopo aver girato tre ospedali

«Far nascere un bambino non può essere così difficile», si sfoga Marco. Lui è uno dei tanti papà e mamme che dal 12 giugno scorso hanno dovuto peregrinare per la provincia per veder venire alla luce il proprio figlio.Perché da quel giorno a Verona non si partorisce più. La chiusura dell'ospedale della donna e del bambino di Borgo Trento per i casi di citrobacter ha dirottato infatti tutte le partorienti alle altre strutture della provincia. Che però, nonostante gli sforzi del personale, faticano a sopperire alla prolungata indisponibilità di un reparto di maternità che era quello dove avvenivano il maggior numero di nascite in tutto il Veneto.

 

Anche Marianna, appena uscita da Negrar con il suo terzogenito, lo conferma: «Sono stata fortunata, dopo di me hanno dovuto dirottare altre partorienti in altri ospedali». Una situazione che al Sacro Cuore, dove si rivolgono tanti veronesi «orfani» di Borgo Trento, si sta riproponendo sempre più spesso. «Ospedale sovraccarico», l'impressione di Marianna.

 

La storia di Isabella e Marco, che per la nascita della loro Anita Carla, la scorsa settimana, si sono dovuti rivolgere a tre ospedali differenti, è esemplare. «Il mercoledì avevamo il tracciato programmato a Negrar, dove avevamo seguito tutto il percorso della gravidanza: avevamo anche effettuato entrambi il tampone per il coronavirus», racconta Marco, «in modo che io potessi entrare in sala parto. Il tracciato è stato fatto alle 13, «subito dopo a Isabella hanno fatto gli esami del sangue e siamo rimasti ad attendere l'esito. È arrivato alle 20».I test evidenziano una colestasi gravidica: è consigliabile indurre il parto.

 

«Ma ci hanno detto che non c'era posto. Sapevamo che era capitato ad altri, abbiamo chiesto se si poteva attendere il mattino seguente, ma ci è stato spiegato che era meglio non sottovalutare la situazione e fare subito, magari a Villafranca o a Peschiera».

 

Isabella e Marco, 33 e 35 anni, già genitori di Amedeo, salgono in macchina e si dirigono verso Villafranca. Lungo il tragitto telefonano all'ospedale per informarsi se c'è posto, specificando che la mamma chiede l'anestesia epidurale. Ma dal Magalini fanno sapere alla coppia che, senza aver seguito prima il percorso previsto con gli anestesisti, non è possibile eseguirla. Allora chiamano Peschiera: lì invece la risposta è positiva. La stessa domanda, due risposte differenti.

 

«Eravamo spaventati, alcune persone ci avevano detto che c'era una situazione del genere negli ospedali veronesi, ma viverla sulla nostra pelle è stata un'altra cosa».Il parto viene indotto alle due della mattina del giovedì, la piccola Anita Carla nasce a mezzogiorno del venerdì, dopo 48 ore dal tracciato a Negrar. Sta bene, anche se mamma e papà sono provati.

 

«Ci sentiamo ancora in uno strano stato di allarme. A Peschiera ci siamo trovati benissimo, l'ostetrica è stata davvero brava, facendoci vivere un'oasi di normalità dopo giorni di panico. Ma non è possibile che far nascere un figlio a Verona sia così difficile, che non ci siano indicazioni precise per i futuri genitori. Deve succedere qualcosa di grave», conclude Marco, «perché si metta mano a questa situazione?».

 

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Riccardo Verzè

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