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VVB - Sinergia Onlus

«Vedere un bambino che dorme per strada è come uno schiaffo»

Tutto è partito da una riflessione: «Vedere un bambino che vive e dorme per strada e che, come tetto, ha il raccordo di una tangenziale, è stato come uno schiaffo. Avrei voluto gridarlo a tutti, mi ha fatto capire quanto io fossi una persona privilegiata e, soprattutto, quanto vivessi in superficie».

Stefania Menon, allora, si interrogava su quale fosse il vero senso della vita. Dopo quel viaggio in Perù, ha avuto la sua risposta. Oggi è presidente di Sinergia Onlus, associazione veronese che si impegna sui temi della povertà, della globalizzazione e della giustizia sociale e sostiene un progetto a favore dei ragazzi di strada proprio in Perù, a Lima. Tutto inizia nel 2001 quando Alessandra Donatelli, fondatrice e anima del progetto, affronta la prima esperienza di volontariato in Paraguay, in una casa-famiglia per bambini orfani o di famiglie disagiate. «Fu bello, umanamente profondo: mi sentii “madre” di quei ragazzi». L’anno dopo, in Perù, il primo contatto con i ragazzi di strada. Perché in una metropoli dove la povertà la fa da padrone, le famiglie diventano luoghi di violenza, alcolismo, tossicodipendenza, da cui migliaia di ragazzi fuggono. E la strada, con il miraggio della libertà e del lavoro, diventa invece il luogo in cui conosceranno la fame e le malattie, la droga, il furto. «Com’è possibile, mi chiedevo, che la gente li guardi senza fare nulla, buttati come sacchi di spazzatura sui marciapiedi? », dice Donatelli. «Che per la disperazione qualcuno di loro tenti il suicidio con il veleno per topi? Che muoiano di tubercolosi a 18 anni? Capii subito che volevo fare qualcosa per loro». Così, nel 2004, con un gruppo di amici fonda l’associazione Sinergia, che oggi riunisce 49 volontari ed è certificata Merita Fiducia dal Csv, Centro servizi per il Volontariato di Verona. I primi due anni non sono facili: Alessandra insegna in una scuola italo-peruviana a Lima e con lo stipendio paga l’affitto della casa che diventerà la sede casa-famiglia «Rayitos de Luz», Piccoli Raggi di Luce, mentre l’associazione italiana, guidata dall’allora presidente Marta Giacopini, mette a disposizione le risorse per gli operatori. La Provvidenza fa il resto e il progetto decolla, con l’attività di aiuto in strada e di accoglienza e formazione per i ragazzi residenti nella struttura. «In strada il nostro educatore Martin Milla, co-fondatore del progetto, contatta ogni anno centinaia di ragazzi», prosegue Menon. Il numero di “niños de la calle” della capitale peruviana (in cui è riunito un terzo dell’intera popolazione del Paese) in realtà non è altissimo: parliamo di qualche migliaio di bambini e ragazzi su dieci milioni di persone. Ma le loro condizioni di vita sono così estreme che gli enti pubblici preposti alla tutela dell’infanzia non riescono ad attivare programmi adeguati per recuperarli e reinserirli nella società. Le cause? L’estrema povertà delle famiglie con un’alta natalità (ogni coppia ha spesso più di cinque figli), che li porta a cominciare molto presto a lavorare in strada per abbandonare poi progressivamente la scuola e dedicarsi solo al sostentamento familiare. Inoltre i contesti in cui vivono sono privi di opportunità sane per i minori: la maggior parte dei ragazzi proviene infatti dalla colline desertiche che circondano Lima e su cui sono cresciute, dagli anni ’70 in poi, vastissime baraccopoli, senza pianificazione urbanistica e senza la predisposizione di infrastrutture per i servizi di base. «Così bambini e adolescenti arrivano nella capitale per trovare lavoro e aiutare la famiglia e si ritrovano a vendere caramelle nei mercati, a cantare sugli autobus, a fare i lustrascarpe o i lavavetri. Noi li aiutiamo con il counseling», prosegue la presidente di Sinergia, «il controllo sanitario per curare tubercolosi, malattie veneree e malattie della pelle, il supporto per creare la loro identità legale perché molti non sono mai stati registrati all’anagrafe, e lavoriamo perché possano riprendere i contatti con le famiglie. Per alcuni, poi, parte un percorso di motivazione verso la casa-famiglia». La struttura residenziale, con quattro educatori, una psicologa, un assistente sociale e una cuoca, può accogliere dieci giovani dai 10 ai 18 anni, che attraverso un percorso in fasi si allontanano dalla vita di strada, riprendono gli studi, lavorano sui traumi pregressi, sviluppano le loro abilità con laboratori di ceramica, musica, giardinaggio, mentre i più grandi vengono accompagnati nel mondo del lavoro. «Proprio come una vera famiglia farebbe con un figlio». Un percorso di reinserimento sociale che, tra alti e bassi, può durare anche tre anni e a volte può concludersi con un insuccesso.

«Dal 2005 ad oggi abbiamo accolto nella struttura circa 150 ragazzi e un terzo di loro è tornato sulla strada», conclude Donatelli. «Ma per molti di questi siamo rimasti comunque referenti affettivi e in caso di necessità ci vengono a cercare. Tutto questo vale ogni sforzo, perché ognuno di loro è un fiore che ha il diritto di sbocciare, anziché appassire ignorato per le strade di Lima». Nel corso dei 14 anni di progetto sono stati vari i ragazzi che hanno seguito corsi di formazione professionale in scuole esterne, seguendo le loro inclinazioni: falegnameria, pasticceria, meccanica, elettricista, disegno di moda, oggettistica, panificazione e altro), ma anche recupero dei rapporti con le famiglie di origine. C’è un progetto suddiviso in due aree: la casa-famiglia, dove se ne accolgono in modo permanente una decina, e gli interventi in strada, che si rivolgono a minori, giovani e a volte anche adulti che continuano a permanere in strada. A Verona l’associazione ha legami con varie realtà, culturali, parrocchie, cooperative, aziende.

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