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Valpolicella, la crisi dei centri storici

Il centro di Fumane: sono rimasti cinque bar, un panificio e pochi negozi specializzati FOTO AMATO
Il centro di Fumane: sono rimasti cinque bar, un panificio e pochi negozi specializzati FOTO AMATO
Il centro di Fumane: sono rimasti cinque bar, un panificio e pochi negozi specializzati FOTO AMATO
Il centro di Fumane: sono rimasti cinque bar, un panificio e pochi negozi specializzati FOTO AMATO

I centri storici stanno morendo anche nella fiorente Valpolicella, terra di vino e turismo internazionale, territorio divenuto brand conosciuto in tutto il mondo. Ma questo non basta. I negozi chiudono, i servizi si riducono e, spesso, pure i residenti se ne vanno. E peggio dei paesi dormitorio ci sono i paesi fantasma. Ed è proprio dalla Valpolicella che parte una nostra serie di servizi dedicata appunto allo stato di salute di quelli che una volta erano i centri di gravità. Le amministrazioni non hanno ancora trovato la ricetta per invertire il senso di marcia di questa tendenza «accelerata da una politica regionale che per anni ha abbandonato le aree marginali, quelle periferiche, puntando sui poli commerciali. La conseguenza è che anche i cittadini hanno abbandonato quei luoghi. Ma un’amministrazione da sola può fare poco», ammette Mirco Frapporti, sindaco di Fumane. La pensa così anche Roberto Grison, primo cittadino di Negrar: «Cosa possiamo fare noi? Il problema è così grande, così diffuso che noi possiamo pensare solo a soluzione tampone». Grison ci ha provato: «Siamo intervenuti nelle aree di sosta per cercare di rendere più fluido l’accoglienza nei negozi. Abbiamo valutato anche la chiusura al traffico del centro che potrebbe renderlo più attrattivo: in alcuni comuni ha funzionato. Però ci sono state lamentele da parte di alcuni commercianti perché sono convinti che per i clienti sia più facile arrivare con l’auto davanti all’ingresso del negozio». Anche a Fumane, spiega Frapporti, «i centri commerciali hanno svuotato il centro storico in modo drammatico. Ora nei 500 metri di centro ci sono ben cinque bar, un panificio, pochi negozi specializzati. Le tre macellerie di qualità che avevamo hanno chiuso. E il rischio è che il paese si trasformi in un dormitorio. L’amministrazione può fare poco, intervenire sui piani urbanistici, sul consumo del suolo». A Bussolengo ci sono altre questioni che hanno contribuito a trasformare il centro del paese: c’è un problema di viabilità e anche uno di locali sfitti che, in via Mazzini, sono sempre più numerosi. Era un centro ricco di negozi, vent’anni fa, quello del paese. Non c’erano due imponenti poli commerciali vicini – Porte dell’Adige e La Grande Mela – e via Mazzini non era pedonale. «Ma non credo che riaprendola al traffico si risolverebbe il problema», confessa il sindaco Roberto Brizzi. Chiudendo i negozi sono mancati i servizi e molti residenti se ne sono andati. E in questo modo si è ridotto il bacino delle attività rimaste. «È un gatto che si morde la coda», ammette il sindaco, che da quando è entrato in municipio ha cercato una soluzione «per tornare ad avere un centro vivo, che attiri commercianti e abitanti. C’è però un problema con i tanti locali sfitti: nella maggior parte dei casi i proprietari non hanno interessi ad affittarli o venderli, non hanno necessità e se non incontrano offerte interessanti preferiscono lasciarli così, vuoti». Chi come Brizzi ha vissuto la trasformazione del «suo» centro storico ha fiducia che il processo possa essere reversibile. Diverso è l’atteggiamento di chi un centro vivo non lo ha mai visto nel suo paese. «Io non mi rassegno, ma mi rendo conto che Pescantina per questioni storiche e logistiche non è mai stata fiorente dal punto di vista commerciale», ammette il sindaco Luigi Cadura. Per rendere l’idea, chi abita qui sale a Bussolengo, meno di cinque minuti di auto, per fare acquisti. Da sempre. Perché di negozi a Pescantina ce ne sono sempre stati pochi e mai concentrati in aree centrali o commerciali. Colpa anche della geografia del paese, 8mila residenti nel capoluogo e gli altri distribuiti nelle tra grandi frazioni di Balconi, Settimo e Ospedaletto. Una policentricità che ha ostacolato lo sviluppo di un centro storico vivo. Con la nascita dei centri commerciali «e nessuno purtroppo nel territorio comunale», lamenta Cadura, la situazione è peggiorata. Ci sono però delle eccezioni. A Sant’Ambrogio c’è chi va controcorrente e apre. «Due negozi hanno inaugurato nell’ultimo mese e uno di generi alimentari arriverà a breve». C’è un motivo se il sindaco Roberto Zorzi si sofferma su questa prossima apertura, dietro alla quale c’è il coraggio di un giovane imprenditore. In paese le attività che negli ultimi anni hanno chiuso, principalmente a causa della concorrenza dei centri commerciali, vendevano alimentari. «L’amministrazione è intervenuta con i mezzi a disposizione», spiega Zorzi, «ad esempio garantendo parcheggi nelle vicinanze dei negozi optando per la sosta con disco orario nel centro storico». Però, sottolinea pure lui, serve uno sforzo «più in alto. Noi Comuni abbiamo poco spazio di manovra...». E così il rischio è che anche i sindaci diventino spettatori di un processo che col tempo sarà irreversibile. •

Francesca Lorandi

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