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La santa ballerina
che diede il nome
al paese dove visse

Contrada Tanzeri una cinquantina di anni fa, prima del crollo pressoché totale
Contrada Tanzeri una cinquantina di anni fa, prima del crollo pressoché totale
Contrada Tanzeri una cinquantina di anni fa, prima del crollo pressoché totale
Contrada Tanzeri una cinquantina di anni fa, prima del crollo pressoché totale

La sfrenata passione per il ballo di una ragazza cimbra è all’origine del cambiamento del nome di una contrada della Lessinia occidentale.

Non lontano da Ceredo, località di Sant’Anna d’Alfaedo, da cui dista circa mezzo chilometro, in vista del titanico Ponte di Veja che si trova a meno di mille metri in linea d’aria, a 721 metri sul livello del mare, c’era una volta la «contrada della Ballerina», ora, purtroppo, un cumulo di macerie. La località, abitata fino all’immediato ultimo dopo guerra, immersa nel verde di prati stabili e circondata da pascoli ombreggiati da annose querce e secolari castagni, sulle carte topografiche scala 1:25.000 è indicata col nome di Tànzari. Un toponimo che tradisce l’origine cimbra. I costruttori, probabilmente gli stessi antichi abitanti, non battezzarono Tanzeri questa nuova località, ma la chiamarono «Le Stellette». Come in tante altre località della Lessinia, le case di abitazione furono costruite, per comodità della famiglia, sul posto di lavoro, utilizzando materiali reperibili in loco: pietre per muri e coperto, legnami per travi e solai. La facciata principale della casa era orientata a mezzogiorno per sfruttare al massimo l’energia termica (gratuita) del sole, un accorgimento adottato nella maggior parte delle vecchie abitazioni. Non solo, ma gli abili costruttori del passato, progettisti ed impresari al tempo stesso, hanno saputo realizzare con gusto le loro comode e funzionali dimore sfruttando a loro vantaggio la pendenza del terreno, ricavando accessi a pianterreno, sia a monte che a valle. Il cambiamento del toponimo da Stellete a Tànzerin, storpiato in Tànzari, è legato ad una curiosa storia di alcuni secoli fa. Il toponimo Tanceris è attestato in almeno due documenti testamentari del ‘500.

Come tutte le storie, anche questa comincia con un «c’era una volta a Le Stellette» una ragazza che abitava con i familiari: la giovane aveva in corpo una gran voglia di ballare. Dalle località vicine (Ceredo, Anepossse, Valèn e specialmente da Ledro e da Làita, altro nome cimbro in quanto Leite significa pendìo, declivio), arrivavano giovanotti in compagnia di ragazze, muniti di fisarmonica, chitarra e di un «pistonsèl de vin». E poi si ballava e si danzava per lunghe ore con la compiacenza sorniona della padrona di casa.

La Lucilla (di cognome faceva Cristanelli) - così si chiamava la ragazza ballerina, era l’anima di quelle serate danzanti al lume di candela, tanto che la contrada cominciò ad essere chiamata da tutti non più delle «Le Stellette», ma della «Tànzerin», che in cimbro vuol dire «ballerina». Un giorno d’autunno, passò da quelle parti un frate «sércoto» (che cercava carità) per la raccolta delle castagne. Il questuante, vestito con il suo lungo saio, conosciuta la sfrenata passione della Lucilla per il ballo, lanciò nella contrada oscure minacce di arrivo di disgrazie, di malattie, di morti misteriose, se la ballerina non avesse cambiato vita. Che sia stato per il timore delle previsioni nere del frate o per altri motivi, sta di fatto che all’inizio della primavera, la Lucilla smise di ballare. La ragazza non accettò più in casa gli amici e le amiche per le radunate con la musica, si mise invece a pregare, a fare penitenza, a digiunare e a portare il cilizio (cilizio o cilicio è la veste, la cintura o altro oggetto ruvido, reso più molesto da nodi, portato sulla pelle per penitenza).

Alla fine dell’estate, la giovane Lucilla, ormai esausta, morì. Messa nella cassa, al posto di un cuscino, fu messo sotto il capo della giovane una manciata di rametti di castagno, con le sue foglie verdi. Dopo partecipati funerali, fu sepolta nel cimitero di Sant’Anna, addossato alla chiesa dal lato Est, ora parco giochi per bambini che si trastullano sull’altalena o su altri attrezzi da gioco.

Erano passati già una quindicina d’anni quando fu scavata la buca dove era stata sepolta la Lucilla per far posto ad una nuova salma. Il beccamorto fu quasi preso da un infarto quando, aperta la cassa dove riposava Lucilla, scoprì che sotto il cranio c’erano rametti di castagno con le foglie ancora verdi.

Pallido e tremante corse dal pievano per metterlo al corrente della scoperta. Arrivati nel cimitero, i due constatarono che sulla croce si poteva ancora leggere il nome della defunta: «Cristanelli Lucilla». «La Lucilla era veramente una santa», esclamò il parroco. «Le foglie verdi sono la prova più chiara. Però non possiamo farla dichiarare santa da Roma perché ci vogliono moltissimi soldi. Sarebbe la rovina del nostro paese». E concluse: «È meglio non dirlo a nessuno. Scava dunque una buca più profonda e là sotto nascondi le ossa e le foglie verdi». Il becchino esegui l’ordine del parroco ma, non molto tempo dopo, cominciò a raccontare in gran segreto agli amici quanto aveva visto.

Lino Benedetti

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