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La ricorrenza

Telegrafo, 120 anni
da «nido d'aquila»
sospeso sul Baldo

La ricorrenza
La veduta dal Telegrafo (Mozzo)
La veduta dal Telegrafo (Mozzo)
Lo spettacolo dal Telegrafo (Mozzo)

Alla fine decide il «Monte Maggiore». È l’antico nome di cima Telegrafo (2.200 metri), la seconda del Baldo, da cui «si signoreggia tutte le riviere di qua e di là del lago di Garda». Parole di Francesco Calzolari, studioso al quale, insieme con Giovanni Poma, fu intitolato nel 1897 il rifugio che oggi porta il nome di «Gaetano Barana», l’unico oggi affidato alla gestione della sezione veronese del Club Alpino Italiano, condotto da «Equipe Natura».

 

È COMUNQUE FESTA

Avvolto di nubi, pioggia e poi sole e ancora nuvolaglie, il «Maggiore» sconvolge anche la festa per i 120 anni dalla costruzione del «nido d’aquila» degli alpinisti veronesi.

Costringe infatti a rimandare indietro, poco dopo l’alba, il Coro Scaligero dell’Alpe, già pronto a salire da due diversi versanti. Scelta difficile, in nome della sicurezza. Restano la posa della targa commemorativa e la messa celebrata da don Flavio Gelmetti, responsabile dell’Opera chiesette alpine.

«Quel “signoreggiare“», dice durante l’omelia, «dovrebbe spingerci a capire, al confronto con la potenza e la maestosità della montagna, la vera grandezza spirituale nei rapporti con il prossimo e con il mondo». Doveva essere una festa per centinaia di persone ma il «Maggiore» ha costretto il presidente del Cai veronese, Alessandro Camagna, a scegliere tra rischio e sicurezza.

 

IL CIELO BEFFARDO

Poi il cielo per poche ore è tornato, beffardamente, azzurro. Il «Maggiore» fa quello che vuole. Lo chiamano «Paterno Monte» ma per salirlo si contano ore e difficoltà. Al «Barana» il gruppo guidato da Alessandro Tenca con Sandra Del Santo e i cuochi Luca Mazzola e Dario Malini, non lesina sull’impegno.

«Stagione buona, ma resta la difficoltà di un presidio in quota in una provincia che, a ben vedere, non è considerata “montana“ quanto è nella realtà». Alle spalle hanno un’estate complicata dal guasto dalla teleferica di rifornimento, risolto «in emergenza» anche con l’aiuto di escursionisti di buona volontà, oltre all’annoso problema della mancata riattivazione degli impianti di risalita da Prada, di fatto l’accesso alla via più corta e tecnicamente semplice per raggiungere il rifugio.

 

IL FUTURO

«Abbiamo realizzato e avremmo in cantiere molte iniziative», spiega Alessandro Tenca, «ma qui, a questa quota (2.147 metri) due gocce d’acqua cambiano la situazione. Puoi proporre il meglio ma i limiti pesano». Il problema, confida con concretezza, è tra il «crederci oppure no». «Un cambio di passo di tutti gli attori istituzionali in campo è necessario», commenta il presidente del Cai scaligero. «Le potenzialità sono note, andrebbero incoraggiate.

Il Cai può fare il meglio, in termini di impegno, ma di certo non basta». Resta il fatto che in una serata di fine settembre ai tavoli del «Barana» sedessero diversi escursionisti stranieri, gli stessi che alimentano l’economia del turismo gardesano. «Provincia montana o no?», sorride Tenca. Poi torna a occuparsi degli ospiti, alternando tedesco e italiano.

Il panorama sul Garda va e viene, la pioggia pure. Il «Maggiore» mantiene il comando sul suo «nido d’aquila».

Paolo Mozzo

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