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«Quelle ore sotto la valanga e la sensazione di pre morte»

Giovanni Cristani, 52 anni, in montagna:  la sua passione nonostante l’esperienza sotto la valanga
Giovanni Cristani, 52 anni, in montagna: la sua passione nonostante l’esperienza sotto la valanga
Giovanni Cristani, 52 anni, in montagna:  la sua passione nonostante l’esperienza sotto la valanga
Giovanni Cristani, 52 anni, in montagna: la sua passione nonostante l’esperienza sotto la valanga

È dura, forse meno facile del previsto riprendersi dopo oltre 8 ore sotto la neve. Però Stefano Borrelli, l’escursionista 49enne di Caprino che il 4 aprile è stato travolto da una valanga nel canalone di Valdritta a Ferrara di Monte Baldo e ricoverato al Polo Confortini in Terapia Intensiva, sta un po’ meglio. Dal reparto è uscito ma resta in ospedale. Preferisce non parlare di quel momento ma qualcuno, leggendone, ha ripercorso un tratto del suo passato. Quando, il 4 febbraio 2012, sempre a Ferrara ma nel Vallone Osanna, fu travolto da una massa di neve e salvato dal Corpo nazionale soccorso alpino e speleologico (Cnsas) di Verona. A lui quell’incidente, che poteva essergli fatale, ha «cambiato la vita. Positivamente». E parla di «esperienza di “pre morte“ ». Lui è Giovanni Cristani, 52 anni e 47 all’epoca, di Bussolengo, impiegato nel settore assicurativo, maestro di karate praticante dal 1977 (6° dan per gli addetti ai lavori), da 40 anni fa meditazione e la insegna. «Da allora la mia vita è profondamente mutata. Il dolore, la malattia, i traumi gravi mi hanno portato a capire il valore del vivere nella propria interezza l’attimo presente seguendo il ritmo biologico. Quel mattino partii presto diretto sul Baldo per fare l’ascesa del sentiero 657 del Cai, noto come Vallone Osanna, che, da Novezzina, arriva in linea diretta al Rifugio Barana al Telegrafo, quota massima 2200 metri». Aveva consultato la previsione meteo: «Le temperatura molto basse, meno 15, avrebbero dovuto portare stabilizzazione del manto nevoso». Diversamente da Borrelli, non informò nessuno sul suo itinerario previsto. I genitori sapevano solo che era in montagna. Ma Giovanni è sempre in montagna! «Completata l’ascesa, alle 11,30 ero al rifugio che in febbraio è chiuso. per cui mi scaldai con del tè portato da casa». Ricorda di avere percorso circa 500 metri, arrivando a quota 2100 circa, quando, attraversando un crocicchio, s’accorse che una massa si staccava da sotto i piedi. «Chi mi recuperò mi disse che ero scivolato violentemente per circa 200 metri, fortunatamente senza trovare ostacoli, rocce o alberi, bloccandomi in un avvallamento. Mi trovai sommerso dal bianco, cosciente del rosso di sangue ovunque e di avere più traumi, dolori a faccia, spalle, piede e, col trascorrere dei minuti, inizio di congelamento. Dovevo trovare un sistema per avvisare i soccorsi. Avevo il Gps - non l’Arva - e riuscii a comunicare al Cnsas le coordinate di dove ero - non ho mai scordato quei numeri e rimasi in attesa. Arrivarono tempestivamente. Si avvicinarono con l’elicottero ma si allontanarono. Non sapevo che è una prassi per valutare lo stato del terreno e quindi se atterrare o scendere col verricello. Così provai un senso di rassegnazione che immaginai come una fase di premorte». Solo lui può spiegare: «Tra l’avvicinamento e l’allontanamento del velivolo mi abbandonai e, in questo passaggio, percepii l’ascesa dal punto dell’incidente, il distacco dal corpo avvolto da nuvole a forma di cono con base verso terra, in assenza assoluta di dolore ed esclusiva presenza di gioia. Trascorsi così un tempo non identificabile: come nei sogni. Ad un tratto riudii il rumore dell’elicottero, fui risucchiato a terra, risentii i dolori e capii che non era...la mia ora!». Allora fu calato il verricello, fatto l’imbrago per sollevarlo a bordo e portarlo all’Ospedale di Borgo Trento. «Al Pronto Soccorso diagnosi totale: trauma maxillo facciale, lussazione spalla sinistra, frattura piede sinistro, inizio di congelamento. Mi ricoverarono e mi fecero un trapianto omologo (ndr di ossa naturali) del pavimento orbitale, le cure del caso». Gli ci vollero 6 mesi per recuperare. Non del tutto: «Riporto i postumi della frattura, come dolori al cambio del tempo, ma mezzi e coincidenze hanno portato a mio favore il mantenimento della vita, della quale quest’esperienza mi ha fatto capire la funzione». Ecco qual è per lui: «Ho compreso la distinzione tra quanto è essenziale e sostanziale». Pare filosofia: «Sostanziale è quanto di materiale ci serve a vivere: cibo, beni, anche le persone perché siamo di passaggio. Essenziale è l’essenza, ciò che si coglie nel presente e porta a vivere la vita vera: l’amore, soprattutto per se stessi, il bene, la gioia, poter apprezzare la natura ed i suoi elementi. Facendo da anni meditazione ne ero conscio in modo astratto mentre ora pratico tale insegnamento in ogni istante presente distinguendo cos’ è essenza indispensabile». Mutato il sentimento del dolore: «Lo vedo come componente della vita, opportunità per guardare a sé e agli altri in modo positivo, dando aiuto e sapendolo chiedere». Consigli a chi va in montagna? «Consultare i bollettini, dire dove si va, avere corretta preparazione fisica per rispetto alla montagna e alla natura: ossia per se stessi». •

Barbara Bertasi

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