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Era nato e aveva lo studio a Illasi

Morto Verzini, l'avvocato di Ruby. Per sua volontà reso noto solo 40 giorni dopo

Egidio Verzini (a sinistra) con Willie Davidson
Egidio Verzini (a sinistra) con Willie Davidson
Egidio Verzini (a sinistra) con Willie Davidson
Egidio Verzini (a sinistra) con Willie Davidson

Da ieri è ufficiale: l’avvocato Egidio Verzini è scomparso il 5 dicembre a Zurigo, in Svizzera. Una notizia che è stata resa nota, e soprattutto confermata, a distanza di oltre un mese perché queste erano, e sono, le sue volontà.

E l’altro giorno gli esecutori testamentari hanno inoltrato la comunicazione ufficiale all’Ordine degli avvocati di Verona affinché proceda alla cancellazione del nominativo dall’Albo professionale.

 

Egidio Verzini, nato il 28 giugno 1958, da un paio d’anni aveva spostato la residenza a Treviso, pur mantenendo l’attività nello studio di via Restel Rosso nel paese in cui era nato, Illasi, al quale era particolarmente legato nonostante l’attività lavorativa lo avesse portato spesso e per periodi lunghi all’estero.

Ed è all’ufficio del Comune di Treviso che il 3 gennaio è arrivata la certificazione che attesta la scomparsa. Nessuna spiegazione relativamente al decesso e nessuna indicazione per quel che riguarda le esequie che saranno comunque celebrate in forma rigorosamente privata. Ma non sono stati resi noti né il luogo né la data. Sempre per rispettare le sue volontà.

 

Poche le indiscrezioni sulle disposizioni testamentarie e tra queste le donazioni a strutture cliniche (macchinari sofisticati di ultima generazione per la ricerca avanzata) e un lascito a un ente religioso destinato alle famiglie con bambini con gravi difficoltà fisiche e psichiche che vivono nella parte povera del mondo. Un aspetto, quello della riservatezza, che era una delle sue caratteristiche, forse quella che più di altri strideva con l’esuberanza e l’attaccamento alla vita. Un professionista poliedrico, a contatto con realtà imprenditoriali che lo avevano portato a spostarsi spesso in America (quando tra l’altro incontrò Willie G. Davidson in occasione del 110° anniversario della casa motociclistica Harley-Davidson a Milwaukee), in Argentina, in Australia come nel Vecchio Continente, che parlava fluentemente tre lingue e, ovviamente, il dialetto che gli consentiva di entrare in contatto con tutti, ma soprattutto con le persone semplici. In giro per il mondo a concludere affari e legatissimo tre cose: una statuetta del Sacro Cuore, una medaglia in bronzo raffigurante la Vergine e un libro di Salvator Gotta che nel 1966 gli aveva regalato la famiglia Trabucchi.

«Persona di sostanza e forza mentale capace di resistere e reagire ai condizionamenti» come lo ricorda una persona a lui cara che gli è stata accanto negli ultimi anni. Condizionamenti, quelli che lui stesso descrisse quando Karima El Mahroug, ormai ex «Ruby rubacuori», gli revocò il mandato. Per un mese, dal giugno al luglio 2011, l’aveva rappresentata nel processo a carico di Silvio Berlusconi (dibattimento iniziato in aprile di quell’anno e terminato poi con l’assoluzione dell’ex Cavaliere, diventata definitiva). «Avrebbe voluto costituirsi parte civile ma vi furono interventi esterni», disse un paio d’anni dopo.

Non fu questo l’incarico più importante (tra le cause quella ventennale per i risarcimenti ai parenti delle vittime straniere che morirono nel 1995 nel disastro aereo dell’Antonov si sta avviando a conclusione) ma fu quello che lo fece finire sulle cronache dei quotidiani italiani e non solo. Nel libro «Being Berlusconi. The rise and fall from Cosa Nostra to Bunga Bunga», pubblicato nel 2015, Michael Day - corrispondente dall’Italia de «L’Indipendent» - a lui dedica diverse pagine perchè nel 2014 l’avvocato di Illasi aveva rilasciato un’intervista a L’Espresso nella quale affermava che la somma di denaro versata a Ruby era di gran lunga superiore ai 57mila euro emersi fino al momento del processo. Una linea e una dichiarazione confermata poi nel 2015, quando la magistratura milanese aprì il terzo filone sulle cene e le serate ad Arcore. Nel giugno 2015, poco prima della chiusura dell’indagine su «Ruby ter», Verzini venne convocato quattro volte a Milano, due in caserma dai carabinieri e due a Palazzo di Giustizia, dal pool composto dal procuratore aggiunto Pietro Forno e dai pm Tiziana Siciliano e Luca Gaglio. Sono passati tre anni e mezzo. Ai primi di dicembre, Verzini ha aggiunto un tassello alla vecchia intervista rilasciata a L’Espresso e, come sostenne, «in forza di un dovere etico e morale» ha rinunciato al segreto professionale rivelando a distanza di sette anni le somme, cinque milioni di euro (e non 57mila), i trasferimenti di denaro e le banche utilizzate per l’operazione che toccava Antigua, Messico e Dubai. Attaccato dai legali di Berlusconi ha replicato. L’ultima volta. Il giorno prima di andarsene.

Fabiana Marcolini

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