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Atleta ipovedente di Colognola

La nuova impresa di Manuel: in bici sull'Himalaya. «Lì ero felice»

Atleta ipovedente di Colognola
Manuel Marson a sinistra con Giorgio Marini
Manuel Marson a sinistra con Giorgio Marini
Manuel Marson a sinistra con Giorgio Marini
Manuel Marson a sinistra con Giorgio Marini

Manuel... sulla luna: «La mia Himalaya è stato questo, un altro pianeta, un posto che mi ha fatto sentire emozioni mai provate prima, un’esperienza che mi ha fatto piangere e provare una gioia assurda e mi ha fatto anche imparare a rallentare».

Dieci giorni a spingere sui pedali fino a oltre 5 mila metri di quota, una gara con 25 iscritti e, tra essi un atleta ipovedente assieme alla sua guida: l’altleta è Manuel Marson, 23 anni, gli ultimi cinque dei quali in convivenza con la neuropatia di Lebber che gli sta portando via progressivamente la vista ma che il ragazzo di Colognola ai Colli ha sfidato dal primo giorno a colpi di sport e performance estreme.

Un supereroe? «No, oggi no... ma vorrei esserlo!», risponde lui. E da qui oggi prende le mosse «La mia Hilamaya», l’incontro di testimonianza che la cooperativa Cpl servizi Onlus ha organizzato  nei suoi spazi di via Sandri 27. Raccontare perché? «Quando me lo hanno chiesto mi sono detto che magari ascoltando me qualcuno decide di fare altrettanto», dice Manuel, «ma soprattutto perché forse la mia esperienza può essere un aiuto a chi pensa di non farcela. Io rispondo che essere negativi è già partire male e non bisogna dimenticare mai che c’è sempre chi sta peggio e avrebbe tutto il diritto di dire non ce la faccio».

All’«Himalayan highest mtb race» ci è arrivato con il Wwb, cioè Wheels without borders («Ruote senza frontiere»), l’associazione che il veronese Andrea Zanrossi ha fondato per proporre esperienze-avventura senza barriere accompagnate da iniziative solidali: è stato così anche stavolta con la consegna ad alcune scuole di materiale didattico per i bambini. La gara, però, l’ha corsa in tandem con Giorgio Marini, «il mio pilota, come ci ha sempre tenuto a precisare scartando la definizione di guida», puntualizza Manuel. Arrivo, acclimatamento, la smania di scoprire: «Me lo avevano detto e ridetto di non esagerare, di fare per gradi ma io non sto fermo e così, tra i 3.500 e i 4.000 metri la prima volta e poi attorno ai 4.500 metri, ho avuto qualche problemino. Solo più avanti ho scoperto l’importanza del rallentare e che attorno a me può esserci qualcuno che ha bisogno di rallentare».

 

LO HA CAPITO quando ormai pensava di avercela fatta, «all’ultima cronoscalata di 55 chilometri. Giorgio stava male, così è subentrata sua moglie Alessia. A dieci chilometri dall’arrivo un pulmino dell’organizzazione ci ha comunicato che la gara stava per finire e a quel punto Giorgio si è arreso. Io ho detto no, anche correndo a piedi ma al traguardo ci sarei arrivato», racconta Manuel. Invece è montato in sella e si è messo sulla scia del pulmino pedalando da solo fino a raggiungere i 5.000 metri: «Mi veniva da piangere, sentivo la fatica, sentivo una gioia enorme e non capivo più niente nell’abbraccio di tutte le persone che erano lì». E così è stato, «scoprendo davvero un altro mondo. Un paesaggio incredibile, sembrava di essere sulla luna, e poi un modo di vivere che ti richiama all’essenziale, che ti fa capire che si può essere felici con quel poco che si ha e che si soffre se quel poco non è sufficiente ad aiutare qualcuno».

«SONO TORNATO con due chili e mezzo in meno», racconta Manuel, «ma il bagaglio pesante perché ho scoperto davvero cosa voglia dire solidarietà, ho imparato ad accorgermi dei bisogni degli altri, l’importanza dell’aiuto reciproco e dell’imparare a rallentare». Un sogno realizzato, quello di Manuel, grazie all’aiuto di tanti: «Fidas e Auser di Colognola, Step, Alitrans, Mater, Socialdent, Caseificio Elda, Bissolo casa, NaturaSi e la protezione civile di Castello di Lugo!». Fino a un anno fa Manuel aveva concentrato il suo futuro sul paratriathlon, disciplina che lo fa vestire di azzurro, e sulle olimpiadi del 2020 ma dopo il Tibet e dopo l’Himalaya la prospettiva è cambiata: «Queste esperienze mi hanno fatto vivere la vita a 360 gradi, è una sfida continua contro i propri limiti e le proprie paure ma sono anche un modo per portare qualcosa di mio agli altri. L’obiettivo Olimpiadi c’è sempre, ma non so quali: è davvero il momento peggiore per rispondere alla domanda su cosa farò da grande, ora voglio vivere, conoscere, scoprire».

Lo ha fatto anche qualche giorno dopo essere tornato dall’Himalaya lanciandosi col paracadute assieme ad Armido Maran: «Una roba assurda! In quei 60 secondi di vuoto totale ti senti il Dio dell’universo!».

Paola Dalli Cani

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