<img height="1" width="1" style="display:none" src="https://www.facebook.com/tr?id=336576148106696&amp;ev=PageView&amp;noscript=1">

Sporchi, lenti e affollati Ecco i treni dei pendolari

Studenti, studentesse e lavoratori pendolari in attesa di un treno regionale alla stazione di Porta Nuova FOTO MARCHIORIRessa di pendolari alla stazione di Porta Vescovo per il regionale diretto a Venezia
Studenti, studentesse e lavoratori pendolari in attesa di un treno regionale alla stazione di Porta Nuova FOTO MARCHIORIRessa di pendolari alla stazione di Porta Vescovo per il regionale diretto a Venezia
Studenti, studentesse e lavoratori pendolari in attesa di un treno regionale alla stazione di Porta Nuova FOTO MARCHIORIRessa di pendolari alla stazione di Porta Vescovo per il regionale diretto a Venezia
Studenti, studentesse e lavoratori pendolari in attesa di un treno regionale alla stazione di Porta Nuova FOTO MARCHIORIRessa di pendolari alla stazione di Porta Vescovo per il regionale diretto a Venezia

Caldo. Ressa. C’è un odore acre, di chiuso e di umori corporei su questo vecchio treno regionale, dove un’umanità varia, assonnata e nervosa viaggia tutta pigiata, spalla contro spalla, in una promiscuità sgradita ma inevitabile, a causa della mancanza di spazio. Nel vagone grigio la luce sfarfalla. Non sono ancora le 7, ma i sedili sbiaditi e macchiati sono già esauriti. Gran parte dei passeggeri sta in piedi, chi fissando il cellulare, magari con le orecchie tappate dalle auricolari, chi con lo sguardo perso nel semi-buio fuori dal finestrino. Sono giovani e anziani, uomini e donne, italiani e stranieri, studenti e lavoratori, operai, impiegati, insegnanti. Sono i pendolari. Come provi a girarti, rompi l’«incastro»; ti scontri con qualcuno, pesti un piede, inciampi in una valigia. Eppure non è lunedì mattina, e nemmeno martedì, quando l’afflusso degli studenti carichi di bagagli per la settimana universitaria rende il viaggio ancora più scomodo, cosa che si ripeterà poi il venerdì pomeriggio, al rientro dei giovani a casa per il week-end. Pochi parlano fra loro. Lo sferragliare di sottofondo è sovrastato a intervalli regolari dalla voce metallica dell’altoparlante che annuncia infinite fermate, oppure dalle telefonate ad alto volume in tante lingue diverse, e il disturbatore di turno viene subito trafitto dagli sguardi di riprovazione, talvolta pure dagli improperi, dei passeggeri vicini. Sì, pochi parlano. Ma la domanda di raccontare la loro vita di lavoratori o di studenti «in viaggio» dà la stura a una litania quasi interminabile di disagi e frustrazioni. Matteo O., 35 anni, pendolare, prende ogni mattina da Porta Nuova un regionale per raggiungere Brescia. «I treni regionali sono sempre in ritardo. Sempre. Anche quando non è segnalato e non è ufficiale. Si sa di dover mettere in conto minimo 5-7 minuti in più, se va bene», dice. «Oppure si parte all’ora giusta, addirittura qualche attimo in anticipo, ma poi il treno si blocca in mezzo alle campagne per dare precedenze, soprattutto alle Frecce». «Capitolo guasti e cancellazioni», aggiunge Matteo. «I primi causano le seconde, che però a volte sono dovute anche a non specificati problemi sulla tratta. I vagoni? Maleodoranti e sporchi, è la prassi. Il personale? In tre mesi ho visto due controllori. C’è poi il grande disagio del sovraffollamento, che peggiora in certi orari. Per esempio la sera, da Brescia a Verona, è raro riuscire a sedersi». «Sarebbe meglio con il Freccia Rossa o con Italo», sospira, «non tanto per gli orari, i cinque o dieci minuti di ritardo sono lo stesso frequenti, ma almeno per le carrozze, più moderne, pulite e controllate. Ma cambia anche il prezzo, è non tutti possono permettersi di sostituire i 7 euro del regionale con i 20 di un Freccia Rossa, solo andata». Monica, 55 anni, impiegata, arriva ogni giorno da Badia Polesine per lavorare allo sportello di una banca in piazza Erbe. Il suo abbonamento mensile, per il regionale, costa 70 euro. «La linea Rovigo–Verona è tra le più disastrate in assoluto», testimonia con rabbia. «I ritardi sono all’ordine del giorno, ma non è questo il problema maggiore. Le macchine sono vecchie di oltre trent’anni, scassate, luride, ricoperte di graffiti, con toilette immonde. E all’inizio della settimana, quando salgono pure gli universitari, la ressa è tale che sembra di viaggiare su un treno del terzo mondo». «Non c’è dignità», esclama Monica. «Non è colpa del personale delle ferrovie, ma di chi amministra. Incredibilmente, negli orari di maggiore intasamento viene messo in servizio un trenino con un unico vagone, che tiene al massimo cinquanta posti a sedere». E perché non usare una Freccia? Lo sguardo della signora si riempie di amara ilarità: «Ma non sa che questa linea non è nemmeno elettrificata? Qui siamo nel Medioevo, altro che treni veloci». Sulla stessa tratta viaggia l’informatico Fabio Toso, 39 anni, di cui 15 da pendolare: «Il tempo di percorrenza ha raggiunto livelli esagerati. Basti pensare che da Rovigo a Verona Porta Nuova, il treno fa 14 fermate, anche in stazioncine semi-abbandonate dove salgono pochissime persone. C’è un altro problema, la sicurezza scarseggia. È all’ordine del giorno che ci si debba fermare perché è salito qualcuno senza biglietto. Gli animi si scaldano, si rischiano tafferugli, e il povero capotreno deve sventare da solo una rissa. Quindi vengono chiamate le forze dell’ordine e, finché non arrivano a prelevare la testa calda, non ci si può rimettere in moto. A volte si ha davvero paura». Toso aggiunge: «Le stazioni, soprattutto quelle secondarie, sono ridotte allo stremo. Molti monitor sono stati distrutti dai vandali o si presentano guasti. È il caso di Bovolone, Villa Bartolomea, Badia… A volte non vengono neppure trasmessi i messaggi vocali. Le sale d’attesa sono tutte chiuse, tranne quelle principali di Legnago, Isola della Scala e Rovigo. Si aspetta all’addiaccio, o sotto la pioggia». «Ma», racconta, «può capitare un’evenienza ancora più sconcertante: il “travaso” di passeggeri. A Legnago, per esempio, il treno è già stipato; allora ti fanno scendere e ti indirizzano al bus sostitutivo. Alla stazione di Isola, i viaggiatori “prevengono” il pienone dirottandosi sui treni della linea Bologna-Verona, ma non è comunque sufficiente». A fronte di tutte queste difficoltà, ci si chiede perché alla fine non si abbandoni la strada ferrata per l’automobile. Risponde Carlo S. di Peschiera, insegnante in una scuola superiore del centro storico: «Perché i costi sono comunque contenuti rispetto a quelli della macchina, tra carburante, pedaggio autostradale, e soprattutto parcheggio: per chi, come me, lavora nella città antica, dovrebbe fare i conti con la ricerca di uno stallo ogni mattina. Certo, se le Ferrovie funzionassero a dovere, i passeggeri potenzialmente sarebbero molti, molti di più». • © RIPRODUZIONE RISERVATA

Lorenza Costantino

Suggerimenti