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Scalzotto «salvato» dall’opposizione

Manuel Scalzotto, in primo piano, due giorni prima del voto davanti a Palazzo Barbieri assieme alla maggioranza di centrodestra
Manuel Scalzotto, in primo piano, due giorni prima del voto davanti a Palazzo Barbieri assieme alla maggioranza di centrodestra
Manuel Scalzotto, in primo piano, due giorni prima del voto davanti a Palazzo Barbieri assieme alla maggioranza di centrodestra
Manuel Scalzotto, in primo piano, due giorni prima del voto davanti a Palazzo Barbieri assieme alla maggioranza di centrodestra

C’è un gioco di carte chiamato «Dubito». Consiste nel capire se gli avversari dicono o meno la verità sulle carte che giocano. A Palazzo Barbieri è un po’ in auge, dopo le elezioni provinciali. Uno dei refrain nei corridoi della politica è il seguente: se il sindaco di Cologna Veneta Manuel Scalzotto ha rischiato grosso di non diventare presidente della Provincia - ha però vinto con un risicato 51,22% - è anche perché con 34 votanti su 37 aventi diritto, oltre ad aver perso 5 su 24 voti della maggioranza-Sboarina anche se nessuno dei 5 lo ammette, uno dei 4 voti dei consiglieri del Pd di Verona, dove il voto pesa di più, non è andato al rivale Arturo Alberti. Questi a Verona era sostenuto anche da 3 del Pd, 4 tosiani, 1 di Verona Civica e 1 del Gruppo Misto: totale 14 voti, con i 5. C’è un astenuto e gira il nome di Carla Padovani, ex capogruppo del Pd. Sfiduciata dopo aver votato «sì» alla mozione pro-vita di Alberto Zelger, Lega. Anche qui: carte coperte. Il ritornello dice anche - rileva Davide Bendinelli, di Forza Italia (intervista a destra), ma anche Elisa La Paglia, Pd - che Alberti non ce l’ha fatta anche perché Michele Bertucco, di Verona e Sinistra in Comune, non ha votato per lui. Bertucco non è andato a votare. Come i due consiglieri del 5 Stelle Marta Vanzetto e Alessandro Gennari. Insomma: Scalzotto “salvato” da membri dell’opposizione che non hanno scelto Alberti? «Scalzotto, oltre a Sboarina, può ringraziare i tre Ponzio Pilato veronesi», attacca La Paglia. «Con un Bertucco in particolare sempre più nei panni di assessore di Sboarina (con ironia così lo chiamano spesso in Consiglio)». Bertucco non ci sta, però. «A mio “discolpa” posso solo dire che sono venuto a conoscenza del fatto che avrei dovuto votare per Alberti solo alla vigilia del voto», spiega, «quando avevo già annunciato da giorni la mia astensione, e che nei mesi precedenti nessuno dei grandi strateghi politici che ora parlano dal pulpito ha mai preso posizione sui temi difficili della Provincia». È curioso, però. La Provincia, per restare a giochi di carte, conta ora quasi come il due di coppe con briscola bastoni. Ciò a detta di tanti amministratori. Contrari al depotenziamento dell’ente per deleghe e risorse avvenuto con la riforma Delrio del 2014. Ma mai come stavolta le elezioni del presidente, riservate ai soli 1.311 consiglieri e sindaci dei 98 Comuni (80,7% l’affluenza), hanno rotto il fronte, con le “defezioni”. Soprattutto il centrodestra (Lega, FI, FdI, Battiti, Verona Domani, Verona Pulita) della maggioranza del sindaco Sboarina. Le ruggini dunque si allargano. Tanto più in vista delle elezioni 2019, europee e amministrative in una cinquantina di Comuni veronesi. La “caccia ai traditori”, cioè i 5 su 24 consiglieri di maggioranza che non hanno votato Scalzotto ma Alberti - sostenuto da parte di FI, civiche e centrosinistra - si fa più dura. Ieri su L’Arena i tre consiglieri Marco Zandomeneghi, Massimo Paci e Paolo Rossi, di Verona Domani - associazione a lungo in attrito con la maggioranza Sboarina - hanno smentito di aver votato Alberti. La stessa Lega, di cui 2 su sette consiglieri si dice abbiano pure votato Alberti, ha dichiarato invece chiaramente di aver scelto compatta Scalzotto, leghista. Come risulta abbiano fatto i nove di Battiti, quello di Verona Pulita, due di FdI e due di FI. È un fatto, però, che 5 su 24 della maggioranza non hanno votato Scalzotto. Inevitabile, come ha detto Sboarina, che anzitutto nella Lega ma non solo, si apra un chiarimento politico. Per fugare ansie di tenuta della maggioranza. Ma questa non potrà essere una partita a «Dubito». • © RIPRODUZIONE RISERVATA

Enrico Giardini

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