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Razzia al museo
iniziata con la gente
nel cortile

LA PERSONA con il cappello è il terzo dei rapinatori. Attende che tutti escano dal cancello prima di chiuderlo, per evitare visite «sgradite». Quando non ci sono più occhi indiscreti, entra nel museo anche lui.
LA PERSONA con il cappello è il terzo dei rapinatori. Attende che tutti escano dal cancello prima di chiuderlo, per evitare visite «sgradite». Quando non ci sono più occhi indiscreti, entra nel museo anche lui.
LA PERSONA con il cappello è il terzo dei rapinatori. Attende che tutti escano dal cancello prima di chiuderlo, per evitare visite «sgradite». Quando non ci sono più occhi indiscreti, entra nel museo anche lui.
LA PERSONA con il cappello è il terzo dei rapinatori. Attende che tutti escano dal cancello prima di chiuderlo, per evitare visite «sgradite». Quando non ci sono più occhi indiscreti, entra nel museo anche lui.

All’interno la razzia di dipinti, all’esterno visitatori ignari di quel che sta accadendo a pochi metri. E in mezzo uno dei rapinatori che finge di essere il custode. Poche parole, una calma impressionante. Duri ma perfettamente lucidi e tranquilli, addestrati ma al tempo stesso in grado di affrontare gli eventuali imprevisti, di correre rischi come se fossero «calcolati». E incuranti delle telecamere. Veri professionisti, con una sorta di cronometro nella testa. Perchè non hanno fatto un passo falso.

Un identikit del comportamento che emerge dalle riprese effettuate dalle telecamere posizionate all’esterno del museo di Castelvecchio, quelle che riprendono uno dei tre malviventi che, indossato il giaccone dell’addetto alla sicurezza con lo stemma di Sicuritalia, con calma e senza agitarsi va a chiudere i cancelli e invita la gente a uscire.

Già, perchè mentre alle 19.37 i suoi complici sono all’interno della biglietteria e, armi in pugno, hanno immobilizzato la guardia giurata e la cassiera, nel giardino del Museo continua ad entrare gente, perchè i cancelli, sia quello principale sia il laterale, sono ancora aperti.

Ed è «il terzo uomo» che senza scomporsi si confonde tra i visitatori e li invita ad andarsene. Poi, tranquillo, chiude a chiave. E rientra nel museo, dove gli altri due stanno staccando, uno dopo l’altro, i capolavori da milioni di euro. Sequenze che scandiscono tempi e modalità, l’accuratezza di un piano studiato che consente ai tre rapinatori di muoversi senza passi falsi.

Una sequenza che è al vaglio del pm Gennaro Ottaviano e del pool di investigatori che stanno cercando di dipanare una matassa che si annoda principalmente su uno dei punti deboli, forse il più grande, del colpo milionario al museo di Castelvecchio messo a segno giovedì tra le 19.37 e le 20.45.

Orari rivelati dal timer della videocamera. E solo da questi, nessun allarme, nessuna chiamata da parte centrale di Sicuritalia di Treviso (che ha in carico la sorveglianza del museo) per verificare come mai l’allarme non fosse stato messo in funzione. E la telefonata di verifica sarebbe arrivata solo alle 21, quando erano già state avvisate le Volanti e i rapinatori erano già diventati «invisibili».

Una ricostruzione precisa che in queste ore viene vagliata fotogramma per fotogramma e nella quale si nota che dopo l’ingresso dei due banditi arriva il terzo (che arriva a piedi come se nulla fosse), prende le chiavi dei cancelli, il giaccone ed esce ma chiude la porta della biglietteria per evitare che qualcuno inavvertitamente entri. Per evitare imprevisti.

Invita i ritardatari a lasciare il cortile, non cambia passo e non ha fretta mentre chiude a chiave. Poi torna nel museo. Alle 20 il guardiano viene trascinato in ingresso e davanti alle telecamere gli tolgono le corde attorno alle gambe e lo obbligano a salire. Lo separano semplicemente dalla cassiera: gli hanno già preso le chiavi che servono e iniziano a «lavorare». Materialmente ci mettono poco a staccare pale e tele, non si preoccupano dell’eventuale chiamata di verifica (e questo è uno dei punto che il magistrato intende approfondire, un particolare che esula dai contratti ma che dovrebbe rientrare in un preciso protocollo per la sicurezza).

Lavorano in fretta e poi alle 20.38 il «terzo uomo» esce e sale sul monovolume del guardiano, fa retromarcia e si posiziona davanti all’ingresso. Per caricare la refurtiva ci mettono una manciata di minuti perchè alle 20.45 l’ultimo dei rapinatori, dopo aver controllato la cassiera (distesa a terra a fianco della libreria) esce dalla stanza. E all’esterno il «terzo uomo» si incammina verso il cancello che si affaccia su via Roma e lo apre. Alle 20.46 la macchina esce. Due minuti dopo la cassiera si libera, sente che il guardiano urla «È tutto finito» e va ad aiutarlo. Poi chiama la polizia. Ma i tre sono già «fantasmi».

Fabiana Marcolini

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