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Il primato

La Capitolare
è la biblioteca
più antica al mondo

Il Codice Ursicino compie 1500 anni
Gli interni della capitolare
Gli interni della capitolare
Gli interni della capitolare
Gli interni della capitolare

Il 1 agosto 517, Ursicino, lettore della Scuola dei sacerdoti della cattedrale di Verona, annota, con firma e data, il manoscritto che ha appena finito di trascrivere con le agiografie, cioè le vite di due santi. Non poteva certamente nemmeno immaginare che il suo nome avrebbe contrassegnato, 1500 anni dopo, le origini della più antica biblioteca del mondo: la Capitolare di Verona. Lo scenario di quell’antico tempo era lo scrittorio di una scuola, sorta all’ombra della chiesa principale di Verona, dove si formavano i sacerdoti. Servivano libri di studio per loro: la Bibbia, ma anche le vite dei santi e i testi liturgici.

 

E così era stata predisposta una sorta di officina e di laboratorio librario, dove gli amanuensi trascrivevano gli antichi codici. Ursicino, in quel primo agosto, aveva finito la Vita di san Martino di Sulpicio Severo e la Vita di san Paolo di Tebe di San Girolamo. Un lavoro importante e lungo, visto che firma a pagina 117 di quello che, nel catalogo della Capitolare, oggi, è il manoscritto 38. Che sia stato un giovane che, magari, ha siglato il suo primo lavoro o un vecchio che voleva testimoniare una vita spesa nelle ricopiature? Difficile rispondere. Del resto, gli amanuensi nella realtà culturale di quell’alto medioevo erano uomini che sapevano leggere e scrivere, con una buona cultura, ma di secondo livello diremmo oggi, una sorta di impiegati esecutori.

 

Questo di Verona, comunque, era un vero e proprio laboratorio di scrittura, dove si usava la scrittura semionciale. Era un tipo di grafia minuscola, usata dal terzo secolo e impiegata fino alla fine dell’ottavo, da autori pagani e scrittori romani di giurisprudenza, ma dal sesto secolo anche per trascrivere testi cristiani, come il codice di Ursicino ed altri manoscritti della Capitolare. Si riconosce dalle a tondeggianti, dalle b e d con l’asta verticale, dalla g che assomiglia al numero 5 e dalla t con l’asta curva. Ma, al di fuori dello scrittorio della Scuola dei sacerdoti veronesi, quale era la realtà storico-politica? Ursicino, nella sua nota, ricorda che era console Agapito: si trattava di Flavio Agapito, politico romano vicino a Teodorico, console nel 517, dunque con una ulteriore conferma della data. Siamo nel periodo del dominio di Teodorico, capo degli Ostrogoti e re d’Italia dal 493 al 526. Aveva posto la capitale a Ravenna, ma preferiva la «sua» Verona, che, con lui, ha goduto di una nuova prosperità. A oriente del Teatro Romano, tra le odierne via Redentore e la Regasta Redentore, costruì il suo palazzo, che rimarrà per tutto l’alto medioevo il centro del potere politico, e lo collegò con un portico al ponte Pietra, passando per l’attuale lungadige. Benché ariano, mantenne ottimi rapporti con il papa e la chiesa, almeno fino al 518.

 

Dunque, quando Ursicino ricopiava il manoscritto, i rapporti fra Teodorico e la Chiesa erano positivi. Invece, negli ultimi anni di regno, Teodorico si rivelò molto duro nei confronti dei cristiani, quando non fu più possibile realizzare il suo sogno politico: la fusione con i suoi Goti ariani. Nel manoscritto, Ursicino non ricorda il vescovo di Verona, che allora era Silvino, del quale, però, non abbiamo informazioni precise.

 

Emma Cerpelloni

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