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Il sindacalista e l’arca perduta del monsignore

L’arca a Santa Maria in Chiavica, a Verona,  di monsignor Niccolò Ormaneto, parroco di Bovolone dal 1544 al 1570Turrini davanti al sarcofago aperto con le spoglie di don Ormaneto
L’arca a Santa Maria in Chiavica, a Verona, di monsignor Niccolò Ormaneto, parroco di Bovolone dal 1544 al 1570Turrini davanti al sarcofago aperto con le spoglie di don Ormaneto
L’arca a Santa Maria in Chiavica, a Verona,  di monsignor Niccolò Ormaneto, parroco di Bovolone dal 1544 al 1570Turrini davanti al sarcofago aperto con le spoglie di don Ormaneto
L’arca a Santa Maria in Chiavica, a Verona, di monsignor Niccolò Ormaneto, parroco di Bovolone dal 1544 al 1570Turrini davanti al sarcofago aperto con le spoglie di don Ormaneto

Fabio Tomelleri Dai picchetti davanti alle fabbriche di Legnago alle ricerche negli archivi storici del Vaticano. Fino alla scoperta dell’«arca perduta», ovvero il sepolcro del vescovo Niccolò Ormaneto (1516-1577) che, pur tra mille difficoltà e impedimenti burocratici, riuscì a trasportare da Verona al duomo di Bovolone. Sono trascorsi poco più di 30 anni dalla morte di Lino Turrini, ex sindacalista della Cisl nonché storico della cittadina del mobile, scomparso dopo una breve malattia il 23 novembre 1987, a 65 anni. Proprio nel popoloso centro della Bassa, l’ex dirigente sindacale, a cui anni fa è stata intitolata una piazza del rione Aie, è stato ricordato di recente nel concorso teatrale Cittadini illustri, promosso dalla compagnia Fildefer in collaborazione con il Comune. Gli organizzatori della manifestazione hanno consegnato alla figlia Maria Grazia una targa-ricordo «per la fondamentale opera di Lino Turrini a favore della comunità tutta». Nato a Bovolone il 19 maggio 1922, Turrini, su sollecitazione dell’allora parroco don Bartolomeo Pezzo entrò giovanissimo nel seminario dei Padri Comboniani, con l’intenzione di diventare missionario. Malesseri fisici gli impedirono però di proseguire gli studi teologici. Tornato nella Bassa, Turrini fu impiegato nella sezione provinciale della Cisl di Verona, nata nel 1949 come «Libera unione dei sindacati», dopo la scissione dalla Cgil unitaria. Il sindacalista, con il passare del tempo, assunse maggiori responsabilità sia nel Legnaghese che a livello provinciale. L’ex deputato Dc Vincenzo Casati (1922-2004), primo segretario della Cisl provinciale, diversi anni fa così descrisse in alcune memorie l’attività sindacale di Turrini: «I lavoratori dello zuccherificio di Legnago, dell’Anticromos, della Riello e i braccianti delle aziende agricole della Bassa, all’alba, durante le giornate di lotta, trovavano Turrini davanti ai cancelli pronto a solidarizzare con loro e a incoraggiarli nella loro azione». Negli anni ’60 e ’70 l’impegno sindacale portò spesso Turrini a Roma. «Nella capitale», ricorda la figlia Maria Grazia, custode, assieme al marito Sergio Bellani, di foto e documenti relativi al papà, «mio padre era riuscito a ottenere un lasciapassare per entrare liberamente nei musei Vaticani, dove, tra una riunione e l’altra, andava alla ricerca di informazioni su Bovolone. Fu così che si interessò alla storia della sua città e a monsignor Ormaneto». Niccolò Ormaneto, parroco di Bovolone dal 1544 al 1570, segretario del vescovo Giovanni Maria Giberti, al tempo del Concilio di Trento (1545-1563), fu tra i promotori della Riforma cattolica e, dal 1572 al 1577, nunzio apostolico di Papa Gregorio XIII alla corte di Filippo II di Spagna. Turrini, nel 1974, dedicò all’illustre prelato il primo di una serie di libri di storia locale. Nel medesimo anno promosse, assieme all’allora parroco monsignor Sisto Valle e all’artigiano bovolonese Raffaello Sasso, il recupero e il trasporto dalla chiesa veronese di Santa Maria in Chiavica a Bovolone del sarcofago, contenente le spoglie di monsignor Ormaneto e di altri componenti del suo nobile casato. A testimonianza di quella epica impresa, ancor oggi, negli archivi parrocchiali bovolonesi, sono custodite sia la relazione stilata da Turrini che le foto concernenti l’apertura e il trasloco dell’arca, che tuttora si può ammirare nella navata destra del duomo di San Giuseppe. Per rimuovere il sepolcro dalla sue sede originaria, Turrini e gli altri fautori dell’operazione dovettero attendere due anni per i necessari permessi di Sovrintendenza e Curia. Lo sforzo, tuttavia, fu ripagato nel momento in cui Turrini aprì il coperchio della tomba monumentale. «Dopo un serio, attento e scrupoloso esame eseguito dal dottor Gerolamo Corazza, primario dell’ospedale San Biagio di Bovolone», scrisse Turrini nel rapporto, «tutto lascia supporre che si tratti dei resti mortali dell’insigne vescovo Niccolò». •

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