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«Caporetto? Forse fu la fame dei fanti italiani»

Nogara: il monumento ai caduti del paese nella Grande GuerraTruppe italiane in ritirata dopo la disfatta di Caporetto
Nogara: il monumento ai caduti del paese nella Grande GuerraTruppe italiane in ritirata dopo la disfatta di Caporetto
Nogara: il monumento ai caduti del paese nella Grande GuerraTruppe italiane in ritirata dopo la disfatta di Caporetto
Nogara: il monumento ai caduti del paese nella Grande GuerraTruppe italiane in ritirata dopo la disfatta di Caporetto

Dopo alcuni giorni di trattative iniziate durante lo scontro armato di Vittorio Veneto, il 3 novembre del 1918, a villa Giusti vicino a Padova, fu firmato l’armistizio tra l’Italia e l’Impero austro-ungarico, ponendo fine, sul territorio nazionale, alla Prima guerra mondiale. Il giorno dopo, alle 15, cessarono tutte le operazioni di guerra, seguite dal celebre bollettino della Vittoria emanato da Armando Diaz, comandante supremo del Regio Esercito. Il testo del bollettino in seguito venne apposto in tutti i municipi d’Italia. Da quel momento, il 4 novembre divenne Giornata dell’Unità nazionale e delle Forze armate fino alla marcia su Roma del 1922, quando la festa cambiò nome diventando, fino al 1948, Anniversario della Vittoria. L’anno dopo, ritornò il nome originale, rimasto fino ad oggi. Sono passati 100 anni da allora, da quando finì una delle più grandi tragedie che la storia ricordi, in Italia un tempo chiamata anche «quarta guerra d’indipendenza», per via dell’annessione di Trento e Trieste, che andò a completare l’unità nazionale. Il prezzo pagato da quella guerra fu alto in tutta Europa. I fatti principali sono raccontati nei testi scolastici. Ma qui si parla della grande storia. Oltre a questa, ci fu una storia minore, emersa grazie alle ricerche di studiosi locali e alle loro pubblicazioni. Si scopre, così, che talvolta la piccola e grande storia si sono incontrate o solo sfiorate. Anche nei centri non impegnati direttamente in operazioni di guerra, nelle retrovie. COME ACCADDE a Nogara, che dopo la rotta di Caporetto, 24 ottobre 1917, venne invasa da una moltitudine di persone: militari scappati dal fronte che tentavano di tornare a casa; civili delle zone di guerra che avevano abbandonato le abitazioni e cercavano un posto tranquillo e chi al fronte, invece, era diretto. Come due divisioni inglesi, inviate, dopo il convegno di Peschiera, da Mantova a Montagnana. Le descrizioni dell’attraversamento del Basso veronese di queste truppe, provenienti dalle Fiandre e giunte nella penisola per aiutare le forze armate italiane a riorganizzarsi, riportate nei diari di alcuni ufficiali inglesi e pubblicate su alcuni giornali della Gran Bretagna dell’epoca, rivelano aspetti inediti di quel difficile momento storico. «Fu uno spettacolo triste veder passare per chilometri e chilometri uomini abbattuti e mezzo morti di fame», scrive Norman Gladden. «Non mi meraviglierei affatto se venissi a sapere che il fiasco avesse avuto qualcosa a che fare col problema di stomaci vuoti. Non c’era uno che avesse il fucile, e ben pochi portavano qualche altro equipaggiamento. Qua e là, frammiste a loro, c’erano mandrie di quadrupedi». E ancora: «Ogni tanto attraversavamo un paese, ma più spesso lo lasciavamo sulla destra o sulla sinistra. Ognuno di questi paesetti ha il suo campanile: una torre quadrata che sorge vicino alla chiesa e che segnala la presenza del paese già molto prima dell’incrocio. Nei canali di irrigazione scorreva un’acqua limpidissima e vedevamo qua e là donne intente a lavare il bucato nei ruscelli». CONTEMPORANEAMENTE, dai treni-ospedale che sostavano alla stazione di Nogara, uscivano i lamenti strazianti dei feriti. Molti trasportati nell’ospedale da poco costruito in località Raffa e trasformato in ospedale militare perché le strutture di Verona si dimostrarono insufficienti per ospitare i numerosi feriti o ammalati che giungevano a getto continuo dai vari fronti. Anche due edifici del centro, di notevole importanza nella storia del paese, furono occupati dai militari: l’asilo infantile, trasformato in sede del Comando, e villa Marogna, dove venne allestito un ospedale da campo, con un medico e alcune suore crocerossine. Altro luogo storico interessato dalle operazioni militari fu corte Valmarana, a Calcinaro: nelle vicinanze, dove oggi ci sono delle risaie, fu costruito un campo di aviazione. «Era uno dei diciotto campi che si trovavano nel Veronese», spiega Alessio Meuti, studioso di storia dell’aeronautica. «Fu costruito all’inizio del 1918 perché si pensava che il fronte avrebbe potuto spostarsi dal Piave all’Adige e al Mincio. Era un campo per squadriglie d’eccezione e fu operativo per 5-6 mesi. La superficie occupata, circondata da reti di recinzione, misurava 150 metri di larghezza per 300 di lunghezza; all’interno c’erano delle baracche per ospitare i militari e depositi per il carburante. Si hanno notizie di un cappottamento di un velivolo della Serenissima durante un tentativo di atterraggio, che si era impantanato nel terreno. Terminato il conflitto, il campo fu smantellato e i terreni furono restituiti ai proprietari per la coltivazione». Oggi a Nogara, a testimonianza di quella guerra, rimangono la targa marmorea del “Bollettino della Vittoria” del generale Diaz, visibile sul retro del municipio, il monumento ai Caduti del centro, il tempietto ai Caduti di Caselle e il sacrario del cimitero, dove, come ogni anno, il 4 novembre, vengono deposte corone di alloro per non dimenticare i nogaresi che hanno pagato il prezzo più alto di quella grande tragedia nazionale. •

Giordano Padovani

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