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Sospetta colica renale, muore in tre giorni

ISOLA RIZZA. Natalina Cucco si è spenta al Mater Salutis di Legnago il 12 gennaio 2011, si è appena conclusa l'azione per il risarcimento danni e parte il ricorso penale. La signora di 54 anni era stata dimessa dal pronto soccorso. Poi la febbre altissima, il ricovero, la setticemia, il decesso. Il marito chiede giustizia
Flavio Crescenzio chiede giustizia, implicati dieci medici DIENENFOTO
Flavio Crescenzio chiede giustizia, implicati dieci medici DIENENFOTO
Flavio Crescenzio chiede giustizia, implicati dieci medici DIENENFOTO
Flavio Crescenzio chiede giustizia, implicati dieci medici DIENENFOTO

Isola Rizza. «Ho dato un bacio sulla fronte a mia moglie e le ho sussurrato di non preoccuparsi, poiché di lì a poco l'avrebbero intubata per tenerla tranquilla e permetterle di respirare meglio. Da quel momento non l'ho più rivista. È morta 15 ore dopo in ospedale a Legnago. Chiunque abbia avuto qualche responsabilità nel decesso di Natalina non ha ucciso solo lei, ha distrutto tutta la mia famiglia». È disperato Flavio Crescenzio, mentre racconta il breve ma drammatico calvario che due anni fa – il 12 gennaio del 2011 – ha condotto alla morte l'adorata moglie Natalina Cucco. Su quel decesso, dai contorni ancora poco chiari, è già stato celebrato un procedimento civile di risarcimento danni ed è stata presentata una denuncia ai carabinieri di Oppeano dieci giorni fa. Sarà la Procura adesso a dover accertare se vi siano gli estremi per indagare i medici del pronto soccorso, del reparto di urologia e della rianimazione di Legnago per omicidio colposo. Natalina, ricorda il marito, all'epoca aveva 54 anni. «Scoppiava di salute, non era mai stata in ospedale prima d'ora, se non per dare alla luce i nostri due figli, Simone e Michela», riferisce. Qualche giorno prima del 9 gennaio, si era recata dal medico di famiglia per segnalare la presenza di sangue nelle urine. «Il medico le aveva prescritto degli accertamenti, sospettando dei calcoli», rivela. «Nel frattempo le aveva raccomandato di bere molta acqua».  Domenica 9 gennaio la donna ha iniziato a sentire dolori lancinanti al ventre e il marito ha deciso di accompagnarla al Mater salutis. Al pronto soccorso i medici hanno eseguito i primi controlli: esami del sangue e radiologici. Diagnosi, sospetta colica renale. Dopo averle somministrato una terapia antidolorifica, la signora è stata dimessa in serata con l'indicazione, anche questa volta, di bere molto. Purtroppo, una volta a casa, i dolori sono aumentati considerevolmente e la febbre è salita a 39,2. Natalina ha rimesso l'intero pranzo. «Ho chiamato il 118», racconta Crescenzio, «gli operatori le hanno somministrato un antidolorifico e se ne sono andati». All'una di notte il marito ha deciso di tornare in ospedale. Questa volta Natalina Cucco è stata ricoverata. Continuava a lamentare forti crampi al fianco destro. Nonostante questo, l'origine della sua sofferenza non era ancora stata individuata. Nella giornata di lunedì è stata disposta un'ecografia che non ha dato alcun esito. Ha iniziato una terapia antibiotica. Al mattino, la paziente si presentava ancora con febbre a 40 gradi e cianotica. I medici hanno deciso dunque di somministrare ossigeno. È stata modificata la terapia antibiotica. Nel pomeriggio le condizioni della donna sono peggiorate. È stata trasferita in rianimazione con un'insufficienza polmonare e una grave infezione alle vie urinarie. «I medici mi tranquillizzavano, mi hanno detto che forse aveva contratto un virus in ospedale», singhiozza ancora oggi il marito al ricordo di quei terribili momenti. «Come potevo pensare di perdere mia moglie a causa di una colica renale?». Nella notte la situazione è precipitata. Mercoledì 12 gennaio sono state rilevate secrezioni bronchiali striate di sangue. È stata effettuata una Tac. L'esame ha evidenziato la «presenza di un calcolo nel piccolo bacino di circa 4 millimetri, in sede paraovarica-parauterina destra». La signora Cucco è stata trasferita d'urgenza in sala operatoria per l'applicazione di uno stent nell'uretere. L'infezione era talmente diffusa che la decisione di spostarla ha peggiorato le cose. La paziente è andata in fibrillazione ventricolare ed è spirata alle tre del pomeriggio, prima ancora di iniziare l'intervento. Dall'autopsia si è evinto che l'infezione dovuta al calcolo si è espansa fino a causare una setticemia letale. Flavio Crescenzio si è chiesto se sia stato fatto tutto quanto era necessario per salvare la moglie o «se vi siano state imperizia, negligenza e sottovalutazione dei sintomi da parte dei medici». Per questo si è rivolto all'avvocato Roberto Venturi, che ha inviato la cartella clinica e gli esiti dell'autopsia all'urologo Maurizio Buscarini di Roma. Secondo il perito, sarebbero quattro le mancanze che hanno determinato il peggioramento del quadro clinico e la morte. Il primo errore sarebbe avvenuto nella lettura dell'esame radiologico. A detta di Buscarini, ci sarebbe stata una traccia del calcolo. Il secondo errore, il più grave secondo l'urologo, in quanto «i protocolli internazionali indicano un'altra via da seguire», sarebbe stato quello di non aver disposto subito una Tac. Il terzo passo falso riguarderebbe la terapia antibiotica, che avrebbe influito negativamente sulla funzionalità renale. Infine, l'ultima mancanza riguarderebbe la decisione di sottoporre la paziente ad un intervento. «Con un quadro settico già compromesso, i medici avrebbero dovuto disporre una nefrostomia (drenaggio del liquido infetto) direttamente sul letto. Lo spostamento del paziente, infatti, lo destabilizza in maniera considerevole», ha scritto Buscarini nella sua perizia. L'azione civilistica per il risarcimento danni nei confronti dell'Ulss 21 si è risolta con una transazione stragiudiziale il mese scorso.  Ora il marito ha deciso di percorrere anche la via penale. Sono implicati una decina di medici, alcuni non più dipendenti del Mater salutis. «Voglio impedire che vengano compiute simili gravi inadempienze nei confronti di altri ammalati», conclude Crescenzio. Ora la giustizia farà il suo corso.

Paola Bosaro

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